Non apriamo la caccia al tedesco: le critiche a Berlino sono ingenerose


È un vizio nazionale tedesco quello di  analizzare le cose con un tale zelo che le cose stesse, alla fine, perdono la loro realtà.” La pensava così Ernst Jünger, un tedesco che conosceva bene le caratteristiche spirituali della propria Nazione. La Germania di oggi sembra vittima del suo stesso zelo. L’acribia con cui Angela Merkel sta “imponendo” i propri metodi al resto d’Europa sembra stia facendo perdere di vista la realtà di cui parlava Jünger, oggi rappresentata dalla salvezza dell’Euro. Eppure qualsiasi commento sulla posizione della Germania nella crisi dell’Euro non può prescindere dalla storia recente della Repubblica Federale Tedesca. Non a caso un raffinato storico come Gian Enrico Rusconi, grande esperto di politica tedesca, ha parlato di Reinvenzione della Germania, la cui storia recente inizia il 9 novembre 1989, il giorno della caduta del Muro di Berlino. Da quell’autunno di fine anni ottanta, la missione politica del governo federale era di capire se la Germania poteva restare competitiva anche dopo l’annessione dell’ex Germania dell’Est, un macigno enorme per le finanze tedesche. Era indispensabile convincere il resto d’Europa che la Germania unita era un vantaggio per tutti. La nascita dell’euro, realizzata circa un decennio dopo, fu il pegno che la Germania dovette pagare in cambio dell’appoggio di Francia, Italia e Gran Bretagna per la sua riunificazione. Oggi sembra, quasi, che la Germania stia mostrando il conto al resto d’Europa, auspicando e imponendo un’Europa più tedesca. Molti analisti si sono sbilanciati in paragoni pesanti tanto che si è evocata una pagina oscura della storia tedesca, quella nazionalsocialista, come se la Germania di oggi fosse quella degli anni trenta, come se i tedeschi portassero nei loro geni il marchio hitleriano. Tutto questo, oltre che essere ingiusto, è storicamente scorretto. Non c’è alcun tentativo di egemonia o di germanizzazione dell’Europa, quanto il tentativo di salvare una barca nella quale sono a bordo tutti i cittadini europei. Semmai si potrebbe rimproverare alla Germania l’eccessivo zelo di sopra. 

Alla Germania di oggi viene rinfacciato, in ordine, di aver reagito con ritardo alla crisi del debito in Europa, di voler imporre il proprio modello economico-sociale a tutti gli stati europei costringendo questi a misure di austerità e di messa in ordine dei conti pubblici (che in realtà non stanno permettendo la ripresa della crescita economica in Europa) ed, infine, di avere scarso senso di solidarietà perché la Cancelliera Merkel non è d’accordo all’introduzione degli Eurobonds tramite i quali ci sarebbe una condivisione del debito. 

Questo stato di cose è stato ben riassunto dal giornale economico Handelsblatt che venerdì scorso ha titolato, in prima pagina, una grande foto di Angela Merkel: derisa, ammirata, combattuta. Secondo la lunga inchiesta del giornale tedesco la Cancelliera viene criticata in molti paesi d'Europa, ma, al contempo, ammirata, tanto da essere anche molto popolare tra l’intera popolazione europea. Tra i governanti attuali è quella che gode di maggior consenso. Se, dunque, per governanti, economisti, e investitori la Germania sarebbe la principale responsabile della mancata risoluzione della crisi, gran parte dei cittadini europei la pensano diversamente.
Premesso che il dibattito sulla crisi dell’Euro è molto acceso anche a Berlino, è vero che la Germania ha, inizialmente, sottovalutato la situazione dei conti pubblici greci e ha reagito con ritardo, aggravando, di fatto, una condizione già di per sé, estremamente critica. Il motivo del ritardo tedesco è ormai noto. Furono le elezioni regionali nel Nordreno Westfalia a ritardare l’intervento di sostegno alla Grecia. Ma per capire la posizione di Angela Merkel (e condivisa da gran parte dei tedeschi) è importante indagare anche le caratteristiche antropologiche dei tedeschi stessi che non capiscono proprio perché dovrebbero pagare i debiti di altri. Nel loro DNA c’è il rigoroso rispetto delle regole e degli accordi presi, e la moneta unica, formalmente, non è altro che una serie di accordi economici e finanziari presi tra i popoli europei. Ricordate la copertina di Focus in cui era rappresentata la Venere di Milo con il dito medio rialzato rivolto verso l’Europa? Il titolo era “Betrüger in der Euro-Familie” - Imbroglione nella famiglia dell’euro. Per i tedeschi i greci li stavano prendendo in giro, truffando. La logica dei tedeschi è semplice e non fa una piega: ci sono degli accordi e chi non li rispetta, o chi sbaglia, paga. In quest’atteggiamento c’è, in una prima fase, molta ingenuità e fiducia assoluta dei propri compagni di strada - nel caso specifico i partners europei – ma, allo stesso tempo, condanna per chi non rispetta le regole. Aver fatto l’unione monetaria ed aver scoperto, successivamente, che alcuni stati hanno truccato i conti, per i tedeschi è stato insopportabile ed inammissibile. La Welt am Sonntag del 14 luglio scorso titolava “Attacco ai nostri risparmi”, facendosi così interprete di un sentimento molto diffuso tra la popolazione tedesca. 
Quanto alla seconda critica, quella di imporre il proprio modello sociale ed economico al resto d’Europa, la questione è più complessa. Vero è che l’economia sociale di mercato di stampo tedesco è il modello di maggior successo in Europa e soprattutto rappresenta la migliore e più solida alternativa rispetto al modello americano da una parte e quello cinese dall’altro. È dunque normale che l’Europa prenda come punto di riferimento il modello tedesco. Ricordiamo, inoltre, che i successi della Germania di oggi non sono certo casuali. Berlino, durante il Governo di Gerhard Schröder prima e la grande coalizione di Angela Merkel dopo, ha realizzato fondamentali riforme strutturali che hanno avuto dei costi sociali enormi di cui però, oggi, ne beneficia l’intero paese. Rimproverare alla Germania di non capire le sofferenze ed i sacrifici di greci, italiani, spagnoli o portoghesi, non è proprio corretto, perché una condizione simile (in particolare nelle regioni dell’ex Germania dell’Est) il popolo tedesco l’ha vissuta nei primi anni del ventunesimo secolo. Se, dunque, oggi, la Germania “pretende” dai partner europei riforme, lo fa perché, in gran parte di questi paesi, sono state rinviate troppo a lungo ed ora non si può più temporeggiare. È stato il presidente IFO di Monaco, l’economista Hans-Werner Sinn, in un’intervista a Il Sole 24 Ore (3 luglio), a ricordare come la Germania dal 1995 al 2008 abbia realizzato riforme importanti, che oggi, ad esempio, per un paese come la Grecia, sono impossibili da realizzare perché ormai è troppo tardi.
Alla luce della profondità ed estensione dell’attuale crisi, la Germania cerca di esportare al resto d’Europa il proprio modello sociale ed economico, ma non c’è mai stata alcuna intenzione egemonica. Florian Eder, in un vecchio articolo del dicembre dello scorso anno sulla Welt am Sonntag, scriveva che la Germania rappresenta un modello economico di successo ed è meglio essere malvisti che essere sfruttati ed, economicamente, dissanguati. Questa breve frase sintetizza bene il cuore della posizione tedesca. Tra l’altro, la Germania e i tedeschi, nel ruolo di modello da imitiare non sono proprio a loro agio, ma, quasi, in imbarazzo, come ricordò Reinhard Mohr sul mensile Cicero nel gennaio dello scorso anno. I tedeschi, infatti, fanno fatica ad accettare questo nuovo ruolo perché non sono ancora del tutto consapevoli di quanto la Repubblica Federale Tedesca sia cresciuta – non solo dal punto di vista economico, ma anche culturale e politico -, rispetto ai vicini europei.
Non c’è, dunque, alcun rischio di “Anschluss”. Siamo in Europa e se usufruiamo dei vantaggi dell’euro dobbiamo imparare a far prevalere l’interesse comune ed europeo su quello nazionale. Vale, certamente, per la Germania, ma vale anche per i cosiddetti PIIGS, dai quali è giusto pretendere di completare le riforme necessarie. Il crollo delle borse di questi giorni e l’aumento dello spread oltre i 500 punti è la dimostrazione di quanto lavoro ci sia da fare e di come l’uscita dalla crisi sia lontana.
Siamo, così, al terzo rimprovero rivolto alla Repubblica Federale Tedesca: lo scarso senso di solidarietà. Anche qui è necessaria una premessa: gli Eurobonds, da soli, non sono la soluzione del problema europeo. La loro introduzione, al netto delle pur fondamentali riflessioni economiche e finanziarie, è, per i tedeschi, incomprensibile. La gran parte non riesce proprio a capire perché debbano essere loro a pagare debiti di altri. Nelle categorie mentali di un tedesco non esiste una casella del tipo: pagare i debiti altrui. Angela Merkel continua ad essere contraria, pare, addirittura, che finché vivrà non ci saranno gli Eurobonds. Più possibilista sembra essere il gruppo dirigente della SPD.
Da quanto, però, si è poi potuto vedere all’ultimo vertice europeo di fine giugno, dalla riunione dell’eurogruppo e dal recente voto del Bundestag sul finanziamento delle banche spagnole, la Germania sta dimostrando di avere maggior solidarietà di quanto si legga sulla stampa internazionale. I primi ad avere a cuore il destino dell’Euro sono i tedeschi stessi che sono consapevoli dei vantaggi che ne hanno tratto. Senza l’Euro il boom della crescita tedesca non si sarebbe realizzata – tra i tanti articoli che hanno sostenuto questa tesi, mi piace ricordare un vecchio articolo di Til Knipper uscito sempre sul mensile Cicero (gennaio 2011) che dimostrava, numeri alla mano, i benefici che la Germania ha tratto dall’introduzione dell’Euro. La Germania, dunque, voleva e vuole tutt’ora accordi e patti chiari tra gli stati membri: riforma dei trattati, disciplina di bilancio degli stati europei, regole e controlli più rigorosi. Un principio riformulato, rimodulato e riproposto dalla recente intervista di Angela Merkel alla ZDF.
La crisi che stiamo vivendo è la prima vera prova di credibilità per l’Europa di Kohl e Mitterrand.  L’Europa dei padri si è rivelata più fragile di quanto si poteva pensare e non era così perfetta come se l’erano immaginata. È stata pensata come se l’Eurozona non potesse vivere alcuna crisi, come se il progresso e la crescita erano dei processi irrefrenabili e le sostanziali differenze sociali e economiche tra i numerosi paesi dell’Unione fossero facilmente livellabili. Il ritmo della storia, però, non procede in modo lineare, ma per alti e bassi. Un’Europa con una moneta unica, ma senza un profilo politico e sociale unitario non ha funzionato e non funzionerà mai. C’è da costruire l’Europa del futuro che sarà diversa da quella che abbiamo vissuto fino ad ora. Ad oggi la Grecia è data, quasi, per persa. Da  Berlino arrivano segnali in questo senso. Il segretario generale della CSU Alexander Dobrindt ha affermato che la Grecia dovrebbe ritornare a pagare in dracme metà degli stipendi statali e delle pensioni. Per il noto e discusso econonomista Hans-Werner Sinn, nell’intervista già citata, se la Grecia lasciasse l’euro non costerebbe nulla, un default greco, al contrario, costerebbe al governo tedesco 80 miliardi di euro. Solo lasciando la zona euro Atene può svalutare e diventare competitiva. Sullo Spiegel-Online del 22 luglio il Ministro dell’Economia Philipp Rösler ha affermato l’uscita della Grecia dall’Euro non sarebbe un problema.
Se nell’immediato servono misure per salvare dal fallimento la Spagna, al contempo, serve una ricetta per la crescita ed offrire un futuro alle nuove generazioni L’Europa ha bisogno di una missione, della costruzione di un’identità politica, un modello federale che la possa proporre come protagonista negli equilibri geopolitici internazionali. Angela Merkel e la Repubblica Federale Tedesca giocano, oggi, la loro partita più importante dopo la riunificazione. La Germania è consapevole di non essere amata, ma sente la responsabilità di dover guidare l’Europa oltre l’ostacolo rappresentato dalla crisi. (Pubblicato su Liberal, 26 luglio 2012)
twitter @uvillanilubelli

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