Il paradosso dello spread: Italia e Spagna finanziano la crescita tedesca
Enel e Rwe sono due società energetiche. Hanno gli stessi identici
rating da parte di Standard & Poor's (BBB+) e Fitch (A-). Solo che
la prima è italiana, mentre la seconda è tedesca: per questo semplice
motivo, Enel è costretta a pagare spread sui suoi finanziamenti quasi
nove volte più elevati della concorrente. I tassi d'interesse dei
prestiti obbligazionari che i due colossi dell'elettricità hanno sul
mercato parlano chiaro: il bond di Enel con scadenza nel 2018 ieri
quotava con un rendimento pari a 390 punti base sopra il tasso swap,
mentre il titolo Rwe con scadenza nel 2017 si limitava a uno spread di
45 punti base.
Tassi d'interesse troppo diversi, per due aziende troppo
simili. Questo è il vero effetto della grande crisi europea: ha messo in
difficoltà il sistema industriale di alcuni Paesi (Spagna e Italia in
primis), avvantaggiando oltre la ragionevolezza quelli di altri Paesi.
Quello che oggi chiamiamo spread, insomma, è in realtà la più grande
macchina di concorrenza sleale che storia recente ricordi. Una sorta di
"dumping" finanziario. Un meccanismo che, se non interrotto in fretta,
sbatterà per sempre fuori dal mercato economie dei Paesi del Sud Europa:
nei prossimi quattro anni le banche e le imprese della sola area euro
dovranno rimborsare – secondo i dati che Dealogic ha elaborato per Il
Sole 24 Ore – obbligazioni e grossi finanziamenti per oltre 2mila
miliardi. Come faranno le imprese italiane o spagnole? Come faranno le
banche? E soprattutto: ammesso anche che riescano a rifinanziare questo
debito, quali tassi d'interesse saranno costrette a sopportare?
Europa divisa in due. Non servono occhi esperti per capire che il mercato è completamente
distorto. Intesa Sanpaolo il 3 luglio si è indebitata sul mercato con un
prestito obbligazionario triennale da un miliardo di euro: ha offerto
agli investitori, per convincerli a comprare il suo bond, un rendimento
del 4,99%. Niente a che vedere con Deutsche Bank che, un mese prima,
aveva raccolto 500 milioni di euro per 10 anni pagando l'1,75%. Si dirà
che Intesa ha un rating più basso. Vero: ma anche questo è il riflesso
della crisi del Paese. E in ogni caso, il discorso non cambia: Intesa
Sanpaolo sarà costretta a erogare meno credito a imprese e famiglie,
oppure a farlo pagare molto più caro, rispetto a Deutsche Bank. Il
coltello gira dunque nella stessa piaga: l'Italia è messa fuori mercato.
A questo handicap dello spread, poi, si sommano i sospetti di
concorrenza sleale in senso più stretto. È di pochi giorni fa la
denuncia di Sergio Marchionne, numero uno della Fiat, che accusa
Volkswagen per una politica commerciale che rappresenta – a suo dire –
un bagno di sangue per tutti gli altri. La casa tedesca lo nega, ma il
problema resta: l'industria in Germania vive in un tale stato di grazia,
che può praticare prezzi troppo competitivi e inarrivabili per tutti
gli altri. La concorrenza tra imprese italiane e tedesche (ma anche
finlandesi, austriache, olandesi) è come una gara tra una moto e una
bicicletta: il vincitore è ovvio.
Per non parlare dei casi di UniCredit e Deutsche Bank. Un mese fa la
Bafin (l'autorità di controllo tedesca) ha cercato di impedire a
UniCredit di raccogliere fondi attraverso la sua controllata tedesca Hvb
(quindi a tassi più contenuti): l'autorità temeva che questo potesse
mettere a repentaglio la sicurezza del risparmio tedesco. Per fortuna ha
incontrato la resistenza della Banca d'Italia. Nel frattempo però
Deutsche Bank – come già denunciato dal Sole 24 Ore – usava le filiali
in Italia e Spagna per ottenere i finanziamenti agevolati dalla Bce
senza dare nell'occhio. Anche in questi casi sia Bafin sia Deutsche Bank
si sono giustificate. Ma questo non cambia il paradosso: mentre Spagna e
Italia chiedono alla Germania aiuti anti-spread, nella realtà dei fatti
è la Germania che sta ricevendo aiuti da Italia e Spagna. Perché loro
pagano, di fatto, il benessere tedesco.
Rischio di rifinanziamento. Ma la concorrenza sleale è solo l'ultimo dei problemi. Per le imprese e
le banche italiane si presenterà presto il nodo di rifinanziare il
debito in scadenza. Perché da un lato le banche faticano a erogare
credito: gli ultimi dati della Bce dimostrano una contrazione in tutta
Europa. Dall'altro in Italia poche imprese hanno dimensioni sufficienti
per emettere obbligazioni. E anche per queste non sarà facile accedere
ai mercati. «Se le attuali condizioni persistessero – scriveva Moody's
qualche giorno fa – sarà difficile raccogliere i capitali necessari sul
fronte obbligazionario».
Ma anche in questo caso le difficoltà non sono per tutti. Mentre le
imprese italiane o spagnole sono in gran parte tagliate fuori dai
mercati obbligazionari, le altre raccolgono fondi allegramente. Secondo i
calcoli di Citigroup, le emissioni di corporate bond in Europa tra
gennaio e luglio hanno infatti raggiunto il record di volumi degli
ultimi dieci anni. Segno, anche qui, che la crisi non è per tutti.
Segno, dunque, che un intervento della Bce per calmare lo spread è
indispensabile: altrimenti metà Europa sarà condannata all'oblio. (Tratto da Il Sole 24 Ore, 29 luglio 2012, leggi l'articolo originale qui)
Morya Longo
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