Il dilemma tedesco: essere guida o lasciare l'Europa al proprio destino?
Qual è il segreto della Germania? Perché i tedeschi sono "I primi della Klasse"? La risposta quasi unanime di tutti gli esperti è la seguente: Berlino ha fatto le riforme quando gli altri paesi le hanno rinviate. Ma la condizione di essere i migliori si è rivelata un grosso problema. Per i tedeschi è diventata una sorte di arma a doppio taglio. Sono consapevoli di stare meglio degli altri paesi europei, ma non sanno ancora come sfruttare questo potenziale: essere guida o lasciare i cugini europei al loro destino? E se si è guida, come bisogna esercitare questo ruolo? Non sono domande e questioni di poco conto perché la Germania ha una storia recente tra le più complesse in Europa e, forse, al mondo.
Dall'unità nazionale ad oggi, la Germania ha vissuto troppi cambiamenti radicali, con almeno un paio di tentativi di dominio in Europa che hanno portato ad effetti drammatici ben noti a tutti. Il passato è certamente metabolizzato e la Germania di oggi non rappresenta per nessuna ragione una minaccia. La Repubblica Federale Tedesca è, semmai, una risorsa per l'intera Europa. Non abbiamo, tuttavia, risposto ancora alle domande che ci siamo posti in precedenza. Il ruolo della Germania nella crisi europea ci occuperà ancora a lungo senza, forse, trovare mai una risposta definitiva. Ma per capire il ruolo della Germania in questa difficile fase storica, ci viene in aiuto un insigne germanista: Alberto Krali. Lo studioso italiano ha scritto, infatti, "Primi della Klasse. La crisi europea e il ruolo della Germania".
Il lucido e argomentato ragionamento di Alberto Krali porta ad un'osservazione semplice, quasi banale, ma molto vera. La crisi dell'euro ha diviso l'Europa in primi della classe e inaffidabili perdigiorno. Sud contro Nord. Una differenza marcata da convinzioni filosofiche e culturali ma che ha difficoltà a essere giustificata politicamente. Tutti i "no" di Berlino, secondo Krali, sono figli della paura che trionfa a Nord delle Alpi. Ma è possibile, si chiede l'autore, assumere la responsabilità della guida dell'Europa con un sentimento negativo? E qui arriviamo alla questione cruciale. Perché la sfida che ci ha posto la crisi, è una sfida che coinvolge tutta l'Europa. Di cosa stiamo parlando? Si tratta della questione, ancora una volta, della convivenza tra le diverse anime della popolazione europea.
Il valore dell'Europa sta nella sua diversità e varietà, non c'è posto per l'egoismo e la paura. Ma bisogna esserne convinti ed in Europa, con l'aggravarsi della crisi, lo sono in sempre di meno. La paura tedesca è l'ostacolo principale da superare. È la paura che ha portato la Germania a fare da sé. La Süddeutsche Zeitung, circa un anno fa, in piena crisi, si chiedeva di cosa avevano paura i tedeschi dato che non erano mai stati bene come in questo periodo, la Germania sta talmente bene che spagnoli, italiani e portoghesi, israeliani e altri ancora decidono di trasferirsi in Germania. Ora basta però, affermava Alex Rühle, è il momento di pensare al futuro, di pensare a prospettive di crescita. È tempo di ottimismo. A distanza di un anno la situazione a Berlino non è cambiata molto e a dominare è sempre la famosa "german Angst" - una delle caratteristiche "antropologiche" dei tedeschi.
Tornando alla storia del dopoguerra, per decenni la Germania è stato un nano politico e un gigante economico. Oggi, però, aspira ad avere un ruolo politico che corrisponda al suo potere economico. Ma in questo processo di maturazione la Germania sembra agire a singhiozzo, quasi in modo disordinato.
Con il tempo la Germania ha preso consapevolezza dell'incompiutezza dell'Europa. Krali ricorda, giustamente, la lotta tra tedeschi, polacchi, francesi e spagnoli del 2003 sul sistema di voto approvata a Nizza nel dicembre 2000 e che assegnò a Spagna e Polonia gli stessi voti della Germania, un paese con oltre 80 milioni di abitanti. Il risultato finale fu la supervalutazione di Spagna e Polonia e il ridimensionamento tedesco. La Germania non ci sta al gioco ipocrita e decide di non voler essere più l'ufficiale pagatore dell'Europa. È forse questo il momento in cui si pongono le basi della crisi attuale. La Germania inizia a fare da sé e gli altri paesi capiscono della necessità di una maggiore integrazione europea. Krali definisce questo processo schizofrenico: l'Europa va una parte e la Germania va dall'altra. Nel momento in cui l'Europa ha bisogno di solidarietà, la Germania riscopre l'orgoglio e l'egoismo nazionale. Questa situazione porterà la Germania a puntare ancor di più sull'export ed in particolare alle collaborazioni economiche con i BRICS, Brasile, Cina e Russia in primis.
A rafforzare questa frattura c'è una tradizione culturale tedesca che tende a sottolineare la diversità tedesca. La Germania con il suo modello di economia sociale di mercato rappresenta da sempre un'alternativa sia al liberismo di stampo anglosassone sia al dirigismo protezionistico.
Un'altra tappa che marca una differenza tra Germania ed Europa è l'aspirazione della Repubblica Federale Tedesca a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ricorda Krali. Era il 2004. L'ultimo anno della coalizione di centro-sinistra guidata da Schröder e Fischer. Siamo a quello che l'attuale Ministro delle Finanze, allora, definì "nazionalismo di sinistra". Chissà cosa direbbe oggi.
Il libro di Krali ripercorre in modo avvincente e con dovizia di particolari il ruolo della Germania nella crisi europea e spiega in modo chiaro e lineare le coordinate del ritardo politico tedesco che sta ritardando l'uscita dalla crisi dell'Europa. (Tratto da L'Occidentale, 6-7 ottobre 2012)
twitter @uvillanilubelli
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