Il Ramadanfest a Berlino-Neukölln
Ci siamo finiti per caso dopo una passeggiata alla Tempelhofer Freiheit, il vecchio aeroporto di Berlino Ovest trasformato in un parco, un immenso parco, spazi enormi, vecchie piste (da elefanti direbbe Paolo Conte). Dalla strada non si vedeva quasi niente (qualche cosa si intuiva, direbbe sempre il Maestro), ma c’era un insolito via vai di persone come a una sagra salentina, con i piatti di plastica e cibo a pochi euro. Per il cibo vado pazza e qualsiasi cosa mi incuriosisce, così ho guardato al di là del cancello ... meraviglia: c’era una grande moschea, con un piccolo cimitero annesso e tra le tombe centinaia di persone, molte in abito tradizionale, quasi tutte con un velo radicale, anche se con molte differenze, che io purtroppo non conosco. Tra l’altro quasi nessuna di queste donne sembrava costretta o particolarmente infelice, almeno non più delle donne occidentali. E poi fumo, tanto fumo e rumore di gente parlare, di bambini che recitavano qualcosa in arabo ad un microfono, e questa bella moschea bianca e blu che si stagliava contro il cielo azzurro. E poi cibo, che è il motivo per cui siamo entrati.
Doveva essere un giorno speciale, abbiamo pensato che dovesse essere la fine del digiuno rituale, del Ramadan.
Abbiamo cambiato 10 euro con la moneta ‘locale’: niente di che, si tratta di ‘pezzi’ di carta da 0,50 centesimi ciascuno. I piatti più cari (pollo arrostito con insalata, salse e panino, una specie di spezzatino di agnello con un contorno identico) costavano 3 euro.
C’era il sapore della scoperta, del viaggio dentro al viaggio. Pochi metri più in là delle donne rigorosamente vestite in modo tradizionale, impastavano e cucinavo su piastre roventi delle specie di piadine (gözleme, 1,50 euro). Ne ho comprato una nell’attesa: era buona. Intorno anche qualche tedesco venuto per proprio conto o con qualche amico arabo o turco. Tutto organizzato benissimo dal Moschee-team, un gruppo efficientissimo di ragazzi e ragazze, molte, quasi tutte con il velo, elegantissime nei loro abiti lunghi e coprenti. Poi abbiamo visitato la moschea, molto bella (Sehitlik a Neukölln).
C’era il sapore della scoperta, del viaggio dentro al viaggio. Pochi metri più in là delle donne rigorosamente vestite in modo tradizionale, impastavano e cucinavo su piastre roventi delle specie di piadine (gözleme, 1,50 euro). Ne ho comprato una nell’attesa: era buona. Intorno anche qualche tedesco venuto per proprio conto o con qualche amico arabo o turco. Tutto organizzato benissimo dal Moschee-team, un gruppo efficientissimo di ragazzi e ragazze, molte, quasi tutte con il velo, elegantissime nei loro abiti lunghi e coprenti. Poi abbiamo visitato la moschea, molto bella (Sehitlik a Neukölln).
Naturalmente ci siamo tolti le scarpe, ma io non ho messo il velo, che pure era disposizione in cesti vicini l’entrata. E tuttavia anche se sembrava esserci molta tolleranza, e accoglienza calorosa tipiche dei giorni di festa, mi sembrava che fosse un evento speciale, che non fosse la regola. Bisognerebbe andarci nei giorni normali, per vedere se alle donne è concesso camminare liberamente per tutta la moschea a piedi nudi e a capo scoperto.
Negli angoli c’erano uomini (maschi) che pregavano: padri e figli, padri e figli spirituali, uomini soli. Deve essere un centro particolarmente attivo, tanto attivo da allestire una specie di banda con musiche e costumi tradizionali, bandiere dell’impero turco (del periodo osmanico credo, perchè la moschea si ispira a quello stile) e addirittura, e questo magari è un po’ inquietante, un soldato, una specie di Saladino, che a noi, discendenti dei Martiri di Otranto, avrebbe dovuto ispirare diffidenza. E invece no.
Negli angoli c’erano uomini (maschi) che pregavano: padri e figli, padri e figli spirituali, uomini soli. Deve essere un centro particolarmente attivo, tanto attivo da allestire una specie di banda con musiche e costumi tradizionali, bandiere dell’impero turco (del periodo osmanico credo, perchè la moschea si ispira a quello stile) e addirittura, e questo magari è un po’ inquietante, un soldato, una specie di Saladino, che a noi, discendenti dei Martiri di Otranto, avrebbe dovuto ispirare diffidenza. E invece no.
Sandrina Lamotte
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