Elogio di Brecht
Abbiamo trattato l'autore tedesco come un comunista appestato. E invece Umberto Orsini e Claudio Longhi, con "La resistibile ascesa di Artuto Ui" in tournée per la terza stagione, ci dimostrano quanto sia viva (e appassionante) la sua lezione.
Da venticinque, forse trent’anni viviamo affogati nella pretesa di un
modernismo dove ognuno galleggia per liberarsi di regole, vincoli,
radici e memorie. Abbiamo buttato a mare idee e ideologie come fossero
zavorra inutile per conquistare il paradiso delle grandi apparenze. Ogni
tanto, c’è qualcuno che si ostina a ricordarci che cosa abbiamo perso
e, chi se ne rende conto, s’emoziona per il lutto (inutile) mai
elaborato. Proprio questo, un lutto non elaborato, è il bellissimo Arturo Ui
di Brecht tornato in scena all’Argentina di Roma (e in tournée per la
terza stagione!) con un memorabile Umberto Orsini in scena coadiuvato da
una compagnia di formidabili giovani interpreti diretti da Claudio
Longhi.
Qualche anno fa (complice un altro grande, Eros Pagni) parve che La resistibile ascesa di Arturo Ui,
testo postumo di Brecht, fosse il luogo perfetto per spiegare l’ascesa,
qui da noi in Italia, della sospetta supremazia economica di
Berlusconi. Giustissimo, eppure a rivedere oggi questo spettacolo viene
naturale una considerazione: se Brecht pensava la parabola del gangster
che prende il potere con la violenza e la corruzione come la metafora
del nazismo, è perché il quello snodo storico/simbolico c’è non solo il
senso del Novecento ma anche il fallimento del capitalismo. Circostanza
che ... (leggi l'intero articolo su Succedeoggi.it)
Nicola Fano
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