L'impensabile
Quando la Germania investe in difesa militare e decide di inviare armi in un conflitto non ci si può limitare esclusivamente a un’analisi della contingenza politica e militare. Nel caso della Germania pesa la sua storia. Non è naturalmente in discussione da che parte si collochi la Repubblica Federale tedesca che è saldamente inserita nelle istituzioni democratiche internazionali, quali la NATO e l’Unione Europea.
Non si può negare, tuttavia, che sin dalla sua riunificazione nel 1990, la Germania si è affermata come una nuova potenza internazionale neo-mercantilista e con un ruolo insolitamente attivo in alcune delle crisi internazionali degli ultimi anni, basti pensare alla crisi iraniana del 2015, dove ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) si aggiunse la grande sconfitta della seconda guerra mondiale, la Germania appunto, oppure alle ripetute crisi scatenate dalla Russia di Putin. In particolare rispetto a queste ultime negli anni dei governi di Angela Merkel, la cancelliera era riuscita a contenere le mire espansionistiche e militari di Vladimir Putin tenendo sempre aperto un canale di comunicazione e di trattativa diretto.
Il dialogo tra la cancelliera e Putin si basava su una reciproca conoscenza delle rispettive lingue madre e culture nonché su una storia personale parzialmente comune in Paesi del blocco sovietico. A questo si aggiungevano gli enormi intrecci economici e politici tra Germania e Russia. La linea guida di Merkel è sempre stata quella di scindere interessi economici e interessi militari in un difficile equilibrio politico che ha funzionato, limitando la ambizioni di Putin, finché la cancelliera è rimasta in carica. Una volta venuta meno Angela Merkel, sono bastati pochi mesi perché Putin decidesse un’invasione che, a dire il vero, ha trovato leggermente impreparati tutti tranne gli americani. Ancora a fine gennaio l’invasione dell’Ucraina era considerata improbabile da Germania e Francia.
A questi fattori economico-politici si aggiungono, inevitabilmente, anche le enormi responsabilità storiche della Germania nei confronti dei russi e delle popolazioni delle ex-repubbliche sovietiche. Sin dalla sua fondazione nel 1949, la Repubblica Federale tedesca ha assunto un profilo da “tamed power” (potenza addomesticata), attenta a non suscitare irritazioni internazionali o ad alimentare un nuovo revanscismo nazionale.
La timidezza e la titubanza del governo tedesco nel prendere una posizione chiara rispetto alle iniziali minacce russe di invasione dell’Ucraina, si devono far risalire a questo intreccio di fattori storici e politici, economici e commerciali. Le difficoltà del nuovo governo tedesco ad assumere un linea politica precisa erano ampiamente prevedibili. E forse non è neanche un caso che Putin abbia scelto esattamente questo momento per iniziare la sua guerra. L’inesperienza dei membri del nuovo governo, la composizione politica complessa con tre partiti con tre culture molto diverse (socialdemocratici, liberali e verdi), la transizione energetica programmata dal vice-cancelliere e ministro dell’economia Robert Habeck (Verdi) nonché le vicinanze di molti esponenti dei socialdemocratici a Putin hanno reso molto difficile il lavoro del cancelliere Olaf Scholz nelle fasi iniziali di questa crisi.
Con il discorso al Bundestag di domenica, il cancelliere ha trovato finalmente i giusti contenuti e il profilo da attribuire alla Germania. Ha annunciato un cambio di paradigma. La Germania investirà 100 miliardi di euro per l’esercito e gli investimenti per la difesa da quest’anno in poi saranno pari almeno al 2% del Prodotto Interno Lordo, così come da sempre richiesto dagli Stati Uniti ai membri della Nato. Il Governo tedesco consegnerà inoltre 1.000 armi anticarro, 500 missili terra-aria, carburante e veicoli blindati all’Ucraina. Insomma, l’imbarazzo per i cinque mila elmetti inviati in precedenza è solo un brutto ricordo.
In realtà, sebbene è indubbio che l’invasione russa dell’Ucraina sia un punto di svolta storico degli equilibri politici e internazionali, è altresì vero che non è la prima volta che la Germania (che resta comunque uno dei principali esportatori di armi al mondo) invia armi in un conflitto. Lo ha già fatto in Kosovo e in Afghanistan. Esiste una continuità storica che non si può far finta di non vedere. Anche l’intenzione di maggiori investimenti nella difesa fino al 2 per cento del PIL è già stato annunciato nel 2018 dall’attuale Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, quando era Ministra della Difesa.
Al di là degli effettivi finanziamenti che la Germania realizzerà nei prossimi mesi e anni, è importante il riferimento di Scholz a una stretta cooperazione con la Francia nella produzione di jet e carri armati. Questa nuova stagione di consapevolezza dell’importanza degli investimenti in difesa da parte di uno Stato controverso come la Germania potrebbe finalmente portare l'influenza europea sulla scena internazionale, rendendo l’Ue un attore globale con una reale politica di difesa comune.
Nel 2015 il presidente della Repubblica Frank Walter Steinmeier, allora ministro degli Esteri, affermò che nel 1945 la Germania era stata oggetto del nuovo ordine mondiale. Oggi, continuava Steinmeier, la Germania deve assumere il ruolo di co-protagonista del nuovo ordine mondiale, “non perché noi tedeschi lo cerchiamo, ma perché lo abbiamo, perché questo compito è cresciuto con noi”. La Germania ha l’opportunità storica di abbandonare la condizione di ‘potenza addomesticata’ nella prospettiva di una definitiva normalizzazione del suo ruolo internazionale.
uvillanilubelli
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