Le incomprensioni tra Italia e Germania
I risultati delle
elezioni italiane hanno riproposto il problema delle ingerenze tedesche in
Italia. Dopo francesi e greci anche gli italiani hanno votato contro la
Germania.
Per due mesi
abbiamo assistito ad una campagna elettorale in cui si faceva la gara a chi la
sparava più grossa contro Angela Merkel. Il nemico di tutti era la politica di
austerità imposta dalla Germania al resto d’Europa. In effetti questa strategia
di uscita dalla crisi ha portato vicino al collasso sociale i paesi del sud
Europa, tra cui l’Italia a cui nell’ultimo hanno sono stati chiesti sacrifici
enormi non sempre ben compresi a Berlino.
In Italia il
sentimento di ostilità nei confronti della Germania, negli ultimi anni, è
evidentemente cresciuto e si è diffuso in numerose fasce della popolazione. E' stato premiato l’anti-germanesimo berlusconiano e quello a 5 Stelle e non ha riscosso
il successo sperato l’avamposto tedesco in Italia, il centro del Senatore Mario
Monti.
Durante la
campagna elettorale non sono mancate dichiarazioni, come quelle del Ministro
delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che ha invitato gli italiani a non
commettere l’errore di votare ancora una volta Silvio Berlusconi.
L’agenda politica
italiana e tedesca si è poi divertita a inserire, il giorno dopo le elezioni, una
visita di Stato del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
proprio in Germania. A complicare ulteriormente una situazione già di per sé di
latente tensione ci ha pensato la spregiudicata e maldestra dichiarazione del
candidato socialdemocratico al Cancellierato. Ha dichiarato Peer Steinbrück: “Sono
sconvolto che in Italia abbiano vinto due clown”. Napolitano non ha potuto fare
altro che annullare l’incontro con Steinbrück.
Al di là delle
varie e possibili interpretazioni dei fatti, resta il dato che, probabilmente,
mai come in questa fase, la tensione tra i due paesi è altissima. In passato
non sono certo mancati momenti difficili ma erano, quasi sempre, limitati a
livello politico-istituzionale. Oggi la distanza sembra quasi diffusa anche a
livello sociale in gran parte della popolazione. Non è un caso che già la
scorsa estate la Zeit titolasse Abschied vom Süden (Distacco dal Sud).
La crisi europea
ha creato una frattura tra Nord e Sud Europa le cui conseguenze sono ancora
tutte da decifrare. Nel caso specifico dell’Italia e della Germania, i due
paesi si trovano sempre più lontani, sembrano spesso parlare lingue diverse. Ci
sono anche degli evidenti problemi di comunicazione politica. C’è difficoltà a
far capire che il successo di un paese non potrà che far bene all’altro. Il
loro destino è legato a doppio filo perché l’Europa è un sistema dalle forti
interconnessioni economiche, sociali, finanziarie e politiche.
Oggi però è
d’obbligo provare a chiarire agli italiani la posizione della Germania in
Europa perché non siamo di fronte ad un paese che vuole germanizzare il Vecchio
Continente. La Germania non ha mai gradito (e non gradisce tutt’ora) il ruolo
di leadership in Europa. È un problema le cui origini sono da ricercare,
evidentemente, nella storia del Novecento.
La scorsa
settimana il Presidente della Repubblica Tedesca Joachim Gauck ha tenuto un
importante discorso sull’Europa e sulla necessità di rinnovare e rafforzare
l’Unione. Ha evidenziato i numerosi vantaggi economici, politici e pratici che
tutti i cittadini europei hanno ottenuto dall’introduzione dell’Euro. Ha
riconosciuto che manca una narrazione europea che parli anche al cuore dei
cittadini, ma l’Europa resta la culla dei nostri valori fondamentali: pace,
libertà, democrazia, diritto, uguaglianza, diritti umani e solidarietà. Gauck ha citato D’Azeglio (abbiamo fatto l’Italia, ora
dobbiamo fare gli italiani) per indicare la strada da perseguire per costruire
l’Europa.
Accecati
e storditi dalla campagna elettorale il discorso è passato quasi inosservato in
Italia. Eppure ci dice molto sull’importanza che i valori europei hanno per la
Repubblica Federale Tedesca.
La crisi che
attanaglia l’Europa da oltre due anni è una crisi del debito sovrano. Da una
parte è una crisi strutturale della moneta unica e dell’Unione Europea, ma è
anche la crisi di paesi che per troppo tempo hanno vissuto sopra le proprie
possibilità. Vale la pena di rileggere il discorso programmatico tenuto da
Angela Merkel al Bundestag nel giorno
dell’insediamento del primo governo Merkel: “Abbiamo bisogno di un cambio di rotta nella politica di bilancio … le
cause e gli inizi di questa evoluzione risalgono a molti anni addietro …
Abbiamo bisogno di una strategia a lungo termine di consolidamento del debito …
in tre modi: risanamento, riforme, investimenti.” Era il 30 novembre del
2005 e la Germania sforava già dal 2002 i parametri di Maastricht, aveva quasi
cinque milioni di disoccupati e la crescita era, appena, dello 0,7 per cento.
La Germania, insomma, era il malato d’Europa. Da allora Angela Merkel ha
continuato il programma di riforme (già avviato dal suo predecessore Gerhrad
Schröder) chiamato Agenda 2010 che prevedeva, sintenticamente: riforma fiscale,
riforma sanitaria, maggiore flessibilità nel lavoro e riforma dell’indennità di disoccupazione. A
questo Angela Merkel aggiunse la riforma delle pensioni e la riforma delle
istituzioni. Oggi la Germania è un paese più solido, con bassissima
disoccupazione (mentre in Europa questa sale inesorabilmente) e con
esportazioni in crescita.
Sulla base della
convinzione culturale di aver fatto i compiti a casa per tempo, la Germania
impone la politica di austerità, applicata a sé stessa nei primi anni del 2000,
al resto d’Europa, lì dove spesso regna disordine e caos. Non è certo colpa dei
tedeschi se il nostro sistema politico-amministrativo è il più costoso in
Europa.
L’obiezione più
diffusa è che l’austerità non porta crescita e deprime l’economia. In parte è
vero, ma come sostiene l’economista americano John Lipsky: “non c’è
contrapposizione tra crescita e austerità. La crisi nasce da un eccesso di
debito che richiede un aggiustamento. Nel breve periodo questo aggiustamento è
difficoltoso e incide sulla crescita, ma solo un consolidamento dei conti
pubblici produrrà una crescita solida e sostenibile.”
Dietro
l’austerità tedesca, quindi, c’è una solida convinzione politica, economica e
culturale che ha portato benefici alla Repubblica Federale.
L’errore di molti
commentatori e politici tedeschi è di non capire esattamente quello che succede
in Italia, le dinamiche e i processi politici. I tedeschi farebbero bene a
evitare inutili sentenze tipo quelle di Steinbrück o commenti superficiali come
quelli di autorevoli quotidiani (“Governano populismo, urla e menzogne” oppure “Trionfo
dei populisti”). Lo sforzo che molti tedeschi dovrebbero fare è di provare a
capire un paese, l’Italia appunto, che sta cambiando e, pur con tutte le sue
contraddizioni, sta cercando di uscire dalla crisi.
twitter @uvillanilubelli
peccato che l'Agenda 2010 abbia disintegrato il Pilastro fondante del benessere tedesco, ovvero "benessere per tutti". La forbice tra ricchi e poveri non solo si allarga, ma oramai anche la classe media scivola verso la povertà. Bel successo...
RispondiEliminaDell'agenda 2010 e dei suoi limiti ne ho accennato qui http://www.potsdamer-platz.blogspot.it/2013/03/hans-ulrich-wehler-in-germania-cresce.html ed entro questo mese ritornerò a parlarne sempre su questo blog. Altrimenti nel numero di aprile di Longitude (acquistabile online su ipad) ne parlo già. Non sono un fan a tutti costi dell'Agenda 2010.
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