Il diverso impatto dell'austerity
“No all’austerity”:
è questo l’unico messaggio chiaro degli ultimi eventi politici che hanno
coinvolto l’eurozona, in seguito alle elezioni italiane. Un rifiuto dell’austerità
di stampo tedesco che non mette d’accordo solo l’Italia, ma che probabilmente è
tacitamente condiviso anche da più nazioni europee. La populistica scelta anti-austerity
e la disarmante confusione dell’elettorato italiano sembra avere, però, un solo
bersaglio ben preciso: le ingerenze tedesche e la politica merkeliana, come è
ormai chiaro a tutta la stampa europea e d’oltreoceano.
Ma il vero problema
europeo è che in Germania non esiste il problema: anzi, paradossalmente rigore
e sviluppo economico sembrano procedere quasi di pari passo. La ragione del
cauto ottimismo tedesco e della irremovibilità
della politica del rigore è ascrivibile al successo industriale che, a
dispetto della crisi, avanza quotidianamente, seppure a ritmi lenti. Il
miglioramento delle aspettative dell’industria e del commercio, i cui valori
stanno aumentando, ci fanno pensare a
un’ulteriore crescita della produzione nel 2014 e alla possibilità che il
mercato europeo torni ad essere il più importante del mondo proprio grazie ai prodotti industriali della Germania. Il
sondaggio dell’istituto Gfk ha rilevato, per il mese di marzo, un aumento della
fiducia dei consumatori tedeschi rispetto al mese di febbraio e persino
l’indice della tendenza degli acquisti è salito. La Brookings Institution di
Washington ha proposto un’analisi sul diverso impatto della politica dell’austeritàin Germania e nel resto d’Europa: gli effetti
recessivi sull’economia italiana sembrano essere ben 26 volte più
pesanti rispetto alla Germania; in Spagna il numero sale a 32.
Gli esperti giustificano il “fattaccio” con l’esistenza di un moltiplicatore
fiscale, ovvero di una variabile che indica l’impatto di una politica
fiscale sul PIL. Ma la variabile in questione può bastare a spiegare una
diversità di pesi così radicale? La ragione da affiancare a quella economica è
tutta di natura culturale. L’Italia volta fiera le spalle alla Merkel, ma,
mentre nel Belpaese si parla di ingovernabilità e di crisi dell’euro, la Cancelliera
tedesca pare non avere nulla da temere.
Paola Damiano
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