Papa Ratzinger: un conservatore rivoluzionario


Severo, intellettuale e temuto. La Zeit descriveva così Joseph Ratzinger il 21 Aprile del 2005, appena due giorni dopo la sua elezione a Papa.
Il Pontificato di Benedetto XVI, che veniva dopo quello straordinario Giovanni Paolo II, si preannunciava difficile. Al Papa tedesco mancava il carisma, la naturalezza e la forza scenica del suo predecessore. Ratzinger era e continua ad essere un intellettuale abituato allo studio, alle biblioteche e all’odore dei libri. Se dal punto di vista umano e mediatico i due erano agli antipodi, dal punto di vista dei contenuti, però, c’è stata grande continuità tra i due Pontificati. Del resto Joseph Ratzinger, pur considerato un rigido conservatore era il principale consigliere di Giovanni Paolo II. Si legge sempre sulla Zeit: L’elezione di Ratzinger, uno dei più brillanti intellettuali che la Chiesa ha prodotto nel XX secolo, è stata una delusione per i cattolici liberali. La Welt (12.02.13) ha ricordato come, per questi, Ratzinger fosse il “Panzerkardinal” o “Doktor Dogma”. Come titolava la Frankfurter Allgemeine Zeitung (20.04.2005) il Pontificato di Joseph Ratzinger sarà quello della lotta al nichilismo e al relativismo.

Nonostante la differenza tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Papa tedesco ha interpretato al meglio il suo Pontificato cercando di instaurare subito un rapporto diretto con i propri fedeli. Il momento di maggiore entusiasmo e consenso popolare l’ha raggiunto durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia nell’agosto del 2005 dove il Papa fu accolto da un bagno di folla. Oltre un milione di persone parteciparono alla messa conclusiva. Nella sua Germania, Benedetto XVI, sembrava aver conquistato il cuore di tutti i fedeli.

Un pontificato subito difficile
In realtà, però, il Pontificato di Benedetto XVI è stato problematico. Il suo stile accademico e da raffinato teologo ha provocato più di qualche malinteso e incidente diplomatico. Il caso di maggior scalpore è stata la famosa lezione di Ratisbona in cui Benedetto XVI parlò del rapporto tra ragione e fede. Il passo che fece maggiormente discutere fu una citazione del dialogo tra Manuele II Paleologo, imperatore bizantino, e un colto persiano: Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava (cit. da Laicità della ragione, razionalità della fede? La lezione di Ratisbona e repliche, a cura di Luca Savarino, Claudiana 2008). Il mondo musulmano reagì con indignazione a questa citazione perché lasciava intendere che quella fosse la posizione personale di Benedetto XVI. Il successivo viaggio in Turchia, preceduto da non poche paure per le polemiche suscitate proprio dalla lectio magistralis a Regensburg, rivelarono le vere intenzioni di Benedetto XVI dietro quella citazione poco opportuna. La preghiera del Papa a piedi nudi nella Moschea Blu di Istanbul farà il giro del mondo e verrà molto apprezzata dall’opinione pubblica turca e musulmana.
Durante il suo Pontificato Benedetto XVI ha dovuto affrontare anche il problema dello scandalo dei preti pedofili. In Germania e negli Stati Uniti le pressioni sono state fortissime e Benedetto XVI, pur con qualche contraddizione e tentennamento, ha reso più severi i processi per gli abusi sessuali ed ha richiamato alla penitenza l’intera Chiesa. Tuttavia, molto resta ancora da chiarire.

Il discorso al Bundestag
Strettamente collegato a questo scandalo è il viaggio in Germania nel settembre del 2011 durante il quale per la prima volta un Papa ha parlato al Bundestag (disertato da una parte dei parlamentari dei Verdi, dell’estrema sinistra e dell’SPD). In Germania gli scandali sugli abusi sessuali nella Chiesa avevano dominato il dibattito pubblico. Il viaggio era finalizzato a risollevare l’immagine della Chiesa Cattolica in terra tedesca richiamando i fedeli a non perdere la gioia di sentirsi parte della Chiesa stessa nonostante le numerose ombre. Al Bundestag, citando la Bibbia, Sant’Agostino e Kelsen, la Dichiarazione dei diritti umani e la Costituzione tedesca, il Papa ha evidenziato come la distinzione tra il bene ed il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente resta la questione decisiva davanti alla quale un uomo politico (e la politica in generale) si trova ad interrogarsi. Il principio della semplice maggioranza non può essere sufficiente. Ricordiamo che proprio in Germania Hitler andò al potere con democratiche elezioni. È dunque necessario qualcos’altro. È qui che Benedetto XVI inserisce il Cristianesimo: Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. In quest’affermazione sembra proprio esserci tutta la forza del Cristianesimo. Secondo Benedetto XVI la cultura giuridica occidentale nasce dal legame pre-cristiano tra diritto e filosofia che, attraverso il Medioevo cristiano, porta allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti Umani, per arrivare alla Costituzione tedesca. Nell’importante viaggio nella sua patria, la tappa più interessante e significativa, ma certamente meno mediatica, fu ad Erfurt. Benedetto XVI visitò il convento agostiniano protestante, elogiò Lutero, celebrò una messa ecumenica e mise in evidenza gli aspetti che legano cattolici e protestanti. Una tappa fondamentale che avrà molte conseguenze nel dialogo interreligioso contemporaneo.

La resa
Dopo queste e altri importanti azioni e dopo aver vissuto un anno faticoso tra lo scandalo per gli abusi sessuali e un maggiordomo poco fedele, Benedetto XVI ha deciso di abdicare con queste parole: 
Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.”
La decisione si potrebbe interpretare in molti modi, dai più fantasiosi e complottistici  (secondo cui il Papa avrebbe lasciato per malattia grave o perché sarebbe, addirittura, ricattato per qualche strano motivo) a quelli più politically correct (l’ha fatto per amore per la Chiesa). La verità, probabilmente, è nelle parole dello stesso Benedetto XVI che sente di non poter più dare all’Istituzione quello che ha dato fino ad ora.
La scelta di eleggere Joseph Ratzinger a Papa (avvenuta già alla seconda votazione e con un discreto consenso) era dovuta alla necessità per la Chiesa di avere una guida teologicamente forte e sicura. I 23 anni di Giovanni Paolo II furono, da un parte, una rivoluzione, dall’altra, nella fase finale in cui il papa polacco era gravemente malato, una sorta di vacuum. Il Cardinale Ratzinger era la persona giusta per la sua esperienza, per la sua autorevolezza intellettuale e teologica. Era l’unico che potesse prendere la pesantissima eredità lasciata da Giovanni Paolo II. Ratzinger non era e non è un conservatore retrogrado, che non si rende conto delle trasformazione della società. Anche la semplice e banale scelta di aprire un profilo twitter lo dimostra. Scriveva la Zeit otto anni fa: Nessuno sa meglio di Ratzinger che l’Istituzione Chiesa si trova sulla via di un Chiesa globale con numerosi centri di potere. La Chiesa è un’istituzione complessa, gerarchica, ma anche policentrica che, mai come oggi, si trova a dover svolgere un ruolo sulla scena internazionale di fronte a numerosi competitors. Guidare la Chiesa in questa fase storica non era facile e Ratzinger, otto anni fa, era la persona giusta. Dopo gli anni di Giovanni Paolo II, dove il carisma e la forza di gesti coraggiosi e storici aveva prevalso sui contenuti, serviva una Papa che ricordasse ai fedeli dell’importanza della dottrina e della tradizione. Come scrive Accattoli sul Corriere della Sera: è stato uno scrupoloso continuatore del suo predecessore ma con tre correzioni principali: attenzione alla tradizione e alla dottrina, spinta alla moralizzazione interna, minore intervento nei problemi sociali e internazionali. Non è un caso, infatti, che rispetto al suo predecessore il Papa tedesco abbia ridotto drasticamente i viaggi. Per Benedetto XVI l’atto, forse, più significativo è stato il Motu proprio: Summorum Pontificum con cui ristabilì la messa in rito antico. Molto più importante di qualunque visita di stato perché la crisi della Chiesa è soprattutto una crisi educativa, ha smarrito la capacità di educare il proprio popolo ad adorare Dio.

L'attenzione per la dottrina
In questo sforzo di svolgere un magistero dottrinale di rilievo s’inseriscono le sue encicliche sulla Speranza e la Carità, sulle quali è impossibile soffermarsi qui. La Frankfurter Allgemeine Zeitung (12.02.2013) le considera già pietre miliari del discorso teologico contemporaneo. Era e resta molto attesa la terza enciclica sulla Fede, sicuramente la più importante, ma stando a quanto affermato dal portavoce del Vaticano Padre Lombardi non arriverà. I tempi sono troppo ristretti.
Il Pontificato di Benedetto XVI è stato dunque il naturale completamento del precedente – c’erano del resto questioni spinose ancora irrisolte lasciate in eredità da Giovanni Paolo II. Adesso però è il tempo delle riforme profonde, di quella che potremmo chiamare Fase 2, che portino la Chiesa nel Terzo Millennio. C’è da riposizionare la Chiesa in un mondo più complesso che come dice lo stesso Benedetto XVI richiede una forza mentale e fisica che Joseph Ratzinger non ha più per evidenti limiti d’età. L’attuale Papa ricorda perfettamente gli ultimi anni di Giovanni Paolo II e le difficoltà imposte dai gravi problemi di salute. La Chiesa di oggi non può permettersi un’altra fase di governo con un Papa non nel pieno delle sue forze. Benedetto XVI è consapevole di dover lasciar posto a qualcun altro. Il suo gesto è anche di grande umiltà.
Le dimissioni rappresentano anche un segnale per la Chiesa del futuro che ha il compito di rendersi più umana. Un gesto rivoluzionario che segnerà la storia della Chiesa per sempre. Se dal punto di vista canonico le dimissioni sono contemplate a patto che la decisione sia libera e in idonea occasione, è pur vero che le dimissioni di un Papa mancavano da centinaia di anni. Le passate dimissioni erano poi avvenute in situazione estreme e di conflitto. Nel caso delle dimissioni di Benedetto XVI non c’è nulla di tutto questo. È un gesto di grande innovazione fatto da chi, da molti, è considerato un severo e rigoroso conservatore. Risultano quanto mai attuali le parole di Giuliano Ferrara che aveva previsto e immaginato le dimissioni del Papa su Il Foglio di un anno fa: Un gesto altissimo, prezioso, profetico. Un Papa che si dimette perché ritiene spiritualmente un dovere assecondare un rinnovamento e rilancio che non cancelli il suo stesso magistero, ma anzi lo rilanci, ha indirettamente la possibilità di influenzare con maggiore tempra e fondamento la successione … innova radicalmente. Il più temuto dei conservatori si è rivelato il primo degli innovatori. (Questo articolo è una versione più ampia di un mio articolo su liberalweb.it)
twitter @uvillanilubelli


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