La Germania arriva al voto da paese lacerato
La Germania del 2017 è un paese in un cui si vive bene e volentieri, come dice lo slogan elettorale di Angela Merkel. La crescita economica è stabile intorno al 2 per cento e l'occupazione è ai minimi storici dalla riunificazione (5.7 nell'ultimo mese). L'export ha raggiunto la cifra record di 1400 miliardi di Euro nel 2016 e il Prodotto interno lordo quella di 3.000 miliardi di Euro. Nell'era Merkel la Repubblica Federale ha visto aumentare la sua influenza internazionale e ha elaborato una politica estera autonoma, ha rafforzato i rapporti economici con la Cina e la Russia e ha ritrovato un protagonismo economico internazionale. In Europa, la Repubblica Federale è il paese politicamente più influente e, come ha ricordato in un recente libro Angelo Bolaffi (Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell'egemonia tedesca, Donzelli) è diventata "il baricentro di stabilità geopolitico, ma anche il paese leader".
La Germania ha svolto, inoltre, un importante ruolo diplomatico nell'accordo sul nucleare con l'Iran venendo coinvolta nelle trattative insieme ai paesi del Consiglio di Sicurezza Onu (i paesi vincitori della Seconda guerra mondiale). Berlino è diventato un attore politico globale. Impensabile ancora fino a un paio di decenni fa. Nel corso degli anni Merkel si è fatta promotrice di una Germania nuova, post-moderna e disinvolta nella tutela dei propri interessi a livello internazionale fino a dare l'impressione di essere cinica, come durante la crisi dell'Euro. Ma ha saputo anche trasmettere un volto benevolo e umano con la politica di accoglienza proponendosi come rappresentante mondiale del rispetto e della difesa dei diritti umani.
Eppure, questa è solo una parte della storia recente della Repubblica Federale. La società tedesca che si accinge a scegliere il prossimo Cancelliere è lacerata da divisioni profonde. È una società meno coesa e compatta dell'immagine che dà all'esterno. Dalla campagna elettorale che si è conclusa si evince un paese diverso dall'immagine fin troppo edulcorata a cui ci eravamo abituati. Delle disparità sociali nella Repubblica Federale tedesca si sapeva già. Le riforme dell'agenda 2010 sono state controverse e se, da una parte, hanno rimesso in sesto l'economia tedesca, dall'altra hanno creato sacche di profondo disagio sociale. Non sono una novità e molto è stato fatto e continua a essere fatto per contrastare tali disparità.
In realtà, c'è un'altra frattura che lacera la società tedesca. Culturale e politica. Ciò che ha sorpreso della campagna elettorale è stata la rabbia della provincia tedesca. Merkel ha avuto il coraggio di andare a fare campagna elettorale esattamente lì dove era più difficile. In un tour elettorale lungo e intenso, dove non sono mancate le proteste e il lancio di pomodori, la Cancelliera ha sfidato i suoi avversari più estremi a casa loro. Ha provato a riprendersi i voti delle aree più provinciali, conservatrici e culturalmente più grette. Del resto, visitando la Germania, è evidente l'abissale distacco sociale, politico e umano esistente tra le grandi città e le piccole realtà di provincia. È qui che la politica delle porte aperte non viene accettata, è qui che per il cittadino tedesco la Germania viene prima dell'Europa, è qui che l'immigrato è, molto spesso, solo un terrorista. Ed è proprio qui che l'estrema sinistra (Die Linke) e soprattutto l'estrema destra (Alternative für Deutschland)raccolgono la maggior parte dei propri consensi, complessivamente poco meno di un quarto degli elettori. Ma è qui che c'è anche il maggior astensionismo elettorale, aspetto ancor più grave.
Nell'agosto scorso lo Spiegel ha dedicato un'intera edizione allo "stato della nazione" alla vigilia delle elezioni. Una panoramica in chiaro-scuro, ma complessivamente forse fin troppo benevola. Non ha tenuto conto di una diffusa disaffezione per la politica. Il principale obiettivo interno del quarto mandato di Merkel, comunque oramai dato per scontato, sarà quello di trovare delle risposte convincenti per contrastare una rabbia crescente nei confronti dell'establishment politico tedesco.
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