Europa made in Germany? Un rischio


Negli ultimi dieci giorni l'Europa è stata oggetto di una serie di avvenimenti che, se dal punto di vista mediatico sono sembrati favorevoli e positivi, dal punto di vista invece sostanziale - con l'unica eccezione del risultato delle elezioni olandesi - possono presentare ostacoli non indifferenti sia alla vera costruzione politica di un'Europa unita, sia ad una stabile via d'uscita della crisi depressiva dell'economia europea.
Mi riferisco in modo particolare a due decisioni di rilievo. La prima è l'annuncio da parte del presidente Mario Draghi della decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario titoli di Stato con scadenze da uno a tre anni, senza limiti ma a determinate condizioni. La seconda decisione è quella della Corte costituzionale federale tedesca, del 12 settembre, di approvazione del "fondo salva-Stati", cioè del meccanismo europeo di stabilità "Esm".
La prima decisione ha avuto effetti positivi contro la speculazione, ha ridotto lo spread e ha dato una spinta al rialzo delle Borse europee. Peraltro questa decisione della Bce non è stata presa in considerazione, nonostante l'immediato ricorso contro la stessa alla Corte di Karlsruhe, la quale si è riservata di occuparsene in futuro, lasciando in verità così pendente la sua validità e costituzionalità nell'ambito dell'ordinamento tedesco.

La Corte tedesca ha approvato il fondo salva-Stati con due precise condizioni: la prima che l'impegno della Germania abbia un limite di 190 miliardi di euro, a meno che ci sia un voto esplicito del Parlamento (Bundestag) che ne approvi l'aumento; la seconda è che la clausola di segretezza delle procedure del fondo non sia applicabile al Parlamento. Secondo quanto la sentenza ha ricordato, tale clausola è stata introdotta per «evitare un flusso di informazioni a terzi non autorizzati, quali ad esempio tutti gli attori del mercato dei capitali, ma non certo ai Parlamenti che portano la responsabilità politica per gli impegni presi dal Trattato di stabilità nei confronti dei loro cittadini, anche durante l'ulteriore attuazione del Trattato stesso».
«La ratifica del Trattato è perciò possibile solo se è assicurata una sua interpretazione con la garanzia che riguardo alle decisioni il Parlamento tedesco riceverà le complete informazioni necessarie a renderlo capace di sviluppare un'opinione realmente informata». Queste condizioni, secondo l'indicazione della Corte, devono diventare obbligatorie nel diritto internazionale, sicché probabilmente i Trattati dovranno essere cambiati in tali termini. E questo richiederà tempo, mentre l'Europa per risolvere la crisi ha una gran fretta, sia per la messa in atto del fondo salva-Stati, sia per l'attuazione dell'operatività della decisione della Bce.

Una lettura attenta della lunga decisione si traduce poi in sostanza in una rivendicativa lezione di democrazia e di rispetto della sovranità fissata dalla Carta costituzionale tedesca, nella quale, giova ricordarlo, non possono essere assolutamente modificati l'articolo 1 - che detta l'intangibilità della dignità dell'uomo, l'inviolabilità e l'inalienabilità dei diritti fondamentali - nonché l'articolo 20, che impone l'esclusiva emanazione del potere statale dalla volontà del popolo, esercitato per mezzo di speciali organi del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, nell'ambito di un ordinamento costituzionale che tutti vincola, a uno Stato di diritto. Questa clausola, chiamata anche "clausola d'eternità", è stata dettata ad evitare il ripetersi dell'esperienza della Repubblica di Weimar, che finì quando il Parlamento dichiarò la fine della sua esistenza sotto la prepotente intimidazione hitleriana. Val forse la pena di ricordare invece che la nostra Costituzione impone la immodificabilità solo alla forma repubblicana dello Stato (articolo 139).
La levata tedesca di scudi democratici nei confronti di una deriva tecno-burocratica europea, qualificata da Hans Magnus Enzensberger come «il mostro di Bruxelles», ha due differenti aspetti: il primo pericoloso è quello che la riscoperta della Germania come Stato-nazione deteriori la sua vocazione europeista trasformandola in una pretesa leadership di una «Germania europea in un'Europa tedesca». La via verso una più integrata Europa che preveda il passaggio di molte sovranità attualmente nei poteri dei singoli Stati membri deve avere come risultato un'Europa che abbia, ciò che non ha, una forte legittimazione democratica, pari a quella degli Stati membri attuali; in caso contrario ogni richiesta alla Germania o ad altri creditori di salvataggio a danno dei propri contribuenti dei debiti altrui continuerà ad essere considerato un caso esemplare, questa volta europeo, di "taxation without representation".
Il secondo aspetto è quindi quello che anche i governi si impegnino piuttosto che sulle provinciali derive populiste - che si combattono solo col rispetto dei diritti - a costruire quella Costituzione europea nella quale il filosofo Jürgen Habermas ha individuato il progetto per la soluzione dell'attuale crisi e per la creazione di una vera federazione internazionale di Stati che possa svilupparsi in una comunità cosmopolita di cittadini del mondo. Egli più precisamente ha scritto: «Oggi il processo di unificazione europea che fu condotto fin dall'inizio sulla testa della popolazione è arrivato a un'impasse poiché non può procedere oltre senza modificarsi da un sistema amministrativo fissato ad un involgente aumento della partecipazione popolare. Invece di rendersi conto di ciò, le élite politiche stanno seppellendo la loro testa nella sabbia». Oggi il "patto per l'Europa" può dunque solo partire da un progetto costituzionale. L'accettazione del presidente del Parlamento tedesco dell'offerta del presidente Draghi di spiegare le decisioni della Bce deve essere accolta con estremo favore come possibile recupero del primato della politica e quindi come inizio del progetto costituzionale europeo, dove l'inserimento di una Banca centrale europea in un contesto politico di unità democratica e non solo monetaria diventerà molto meno discutibile e contraddittorio. (Tratto da Il Sole 24 Ore, 16 settembre 2012)
Guido Rossi

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