Quanto vale il modello tedesco?
Di questi tempi la risposta a tutti i problemi è una sola: modello tedesco. Dalle riforme istituzionali, alla riforma delle pensioni, dal sistema elettorale alle ricette per la crescita economica, dal mercato del lavoro al nucleare, dal ruolo delle donne in politica alla grande coalizione fino all’export. La nuova frontiera del politicamente corretto è prendere la Repubblica Federale Tedesca a modello, sempre e comunque, perché solo così si può uscire dalla crisi e si può riconquistare la fiducia dei mercati. Prendendo come punto di riferimento un astratto e non sempre ben definito modello tedesco tutte le differenze svaniscono nel nulla e le discussioni sui problemi del nostro paese vengono azzerate. Il richiamo costante e l’apprezzamento al modello tedesco è inversamente proporzionale al disprezzo teutonico per i vizi del Belpaese.
Sia ben chiaro. Che la società tedesca sia solida e vincente lo dimostrano i dati economici. Tra i paesi europei, Berlino è uscita prima e meglio di tutti dalla crisi, ha una disoccupazione costantemente in calo e l’export cresce. Quando nel 2011 tutti i paesi europei erano strozzati dalla crisi, la Germania continuava a crescere, riusciva a diminuire il numero dei disoccupati e l’export batteva tutti i record. Il sistema istituzionale tedesco garantisce, poi, governi stabili e duraturi. Le recenti dimissioni di ben due Presidenti della Repubblica e un Ministro della Difesa hanno ulteriormente rafforzato l’immagine dei tedeschi come persone dal forte rigore morale e con un profondo senso delle istituzioni. La Germania ha, dunque, molti punti di forza che fa giustamente valere soprattutto nell’ambito della crisi del debito sovrano che ha colpito l’Europa. Angela Merkel impone il proprio modello di rigore e di stabilità dei conti al resto d’Europa forte della solidità del sistema sociale ed economico tedesco. Proprio il rigore e la stabilità dei conti, in effetti, sono necessari ed importanti, soprattutto in un sistema comune come quello europeo. Il problema dell’Europa è, però, la crescita. A differenza della Germania (che pure sta attraversando una leggera flessione) gli altri stati europei devono confrontarsi con una società a crescita zero. Rigore, stabilità e riforme strutturali, forse, contribuiscono a calmare e rassicurare i mercati ma per una ripresa della crescita e per tentare una diminuzione della disoccupazione ci vuole ben altro, come chiesto, del resto, da alcuni premier e capi di stato europei, tra cui Italia, Gran Bretagna e Olanda (e condivisa da altri 9 Paesi: Svezia e Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Spagna, Svezia) inviata al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy e a quello della Commissione Josè Barroso.
Il secondo richiamo al “modello tedesco” è costante quando si discute di mercato del lavoro. Durante le trattative per una riforma in questo settore, che come sempre in Italia si è ridotta, miseramente, ad un sì o no all’articolo 18, Monti e il suo ministro Fornero hanno riproposto la soluzione magica: il modello è il sistema tedesco. Ben venga un sistema con molta mobilità, flessibilità o precarietà (chiamatela come volete). La Germania è un paese dove la questione è stata ampiamente superata anche grazie al fatto che esistono maggiori garanzie e protezioni sociali. In Germania, ancora, è più facile trovare lavoro perché il mercato del lavoro non è stagnante e fermo ed, inoltre, le cause e controversie di lavoro non sono cresciute come in Italia (+24 per cento nel 2011). Prima di voler applicare il fantomatico modello tedesco dovremmo mettere nelle condizioni di creare posti di lavoro. Sono proprio di questi giorni i dati sulla disoccupazione in Europa. I dati parlano chiaro: aumenta in tutta Europa, ma scende in Germania dove si è raggiunto un altro minimo storico: 5,7 per cento. La media europea è di oltre il 10 per cento. Come ricordato da Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera (1 febbraio 2012), l’obiettivo cardine della politica del lavoro non deve essere quello di compensare la disoccupazione ma di mettere ciascun adulto nelle condizioni di lavorare, tramite un mix di servizi, incentivi fiscali (e monetari) e percorsi guidati. A partire dai due governi di Gerhard Schröder la Germania è riuscita a metter in piedi un sistema robusto ed efficiente di servizi per l’impiego, pubblico e privato. I servizi si “prendono cura” di ciascun disoccupato, soprattutto se “debole”: ultracinquantenni, giovani e donne con basse qualifiche. Questo sistema si è rivelato preziosissimo nel momento in cui è scoppiata la crisi. Purtroppo in Italia si discute più dei ricorsi in merito all’applicazione dell’articolo 18 che dei servizi e sostegni ai disoccupati.
L’altro richiamo continuo alla Germania è in riferimento al suo sistema istituzionale. Ora, in Germania vige il Cancellierato: Premier forte che può essere sfiduciato solo con il meccanismo della sfiducia costruttiva. Niente crisi al buio in classico stile italiano, ma solo se c’è già pronta un’alternativa, ovvero una nuova maggioranza in Parlamento. Il sistema tedesco prevede, inoltre, due camere (Bundestag e Bundesrat) con compiti (in gran parte) diversi – non come in Italia dove vige il bicameralismo perfetto. La prima è il Parlamento tedesco, la seconda è la Camera delle regioni. Ed ancora: in Germania il Presidente della Repubblica ha scarsissimi poteri, meno, certamente, rispetto all’Italia. La sua funzione è di mera rappresentanza. La legge elettorale, poi, non è, come spesso viene sostenuto, proporzionale puro con sbarramento al cinque per cento. La legge elettorale tedesca è, in realtà, molto più complessa e prevede un cinquanta per cento di seggi eletti con il sistema dei collegi uninominali che implica un rapporto diretto del candidato con il territorio e un cinquanta per cento dei seggi eletti con il proporzionale puro con sbarramento al 5 per cento. Ora, naturalmente, non esistono sistemi istituzionali e leggi elettorali perfetti e validi in assoluto. In una repubblica federale come quella tedesca, questo sistema funziona molto bene e potrebbe anche essere applicato in Italia. Certo è che molti sostenitori del sistema tedesco in Italia dimenticano con troppa facilità quel cinquanta per cento di seggi eletti con il sistema dei collegi uninominali.
Un altro tema sul quale la Germania sembra fare scuola è il nucleare. Fu clamoroso l’abbandono dell’energia nucleare dello scorso anno, dopo che appena qualche mese prima Merkel e, l’allora vice-cancelliere, Guido Westerwelle, annunciavano, trionfalmente, il prolungamento dell’utilizzo dell’energia nucleare fino al 2050. Il dietrofront fu dovuto a ragioni interne, ovvero elettorali, e sull’onda emotiva dell’incidente di Fukushima. Da allora, tutti, in Europa, avremmo dovuto seguire il modello tedesco. Ma questa scelta, ecologicamente corretta, ha comportato maggiori investimenti nel carbone (una fonte non propriamente ecologica). Nel medio periodo, poi, la Germania vedrà aumentare la sua dipendenza da Mosca. Il North Stream di Gazprom, un gasdotto che porterà gas dalla Russia direttamente in Germania, sarà uno delle principali strumenti con i quali la Germania potrà soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Si tratta di un gasdotto che, ricordiamolo, ha anche la benedizione dall’ex Cancelliere Gerhard Schröder, che è a capo della società che sta realizzando l’opera. C’è, inoltre, da registrare che il boom dell’eolico in Germania è finito: troppo caro. La conseguenza è una serie impressionanti di fallimenti di grosse aziende che avevano investito in questa fonte energetica. Altra conseguenza immediata dell’abbandono del nucleare è un aumento record delle bollette elettriche.
Veniamo ora alla classe politica. La Germania è un paese che ha superato molto bene le dimissioni di ben due Presidenti della Repubblica, per scandali, tutto sommato, di scarsa rilevanza e sicuramente senza alcuna implicazione penale. In Italia si sarebbe già gridato alla fine della Repubblica, in Germania si è cercato ed, infine, eletto un nuovo Presidente con un’ampia maggioranza pari a circa l’ottanta per cento dell’Assemblea Federale. Se si aggiungono poi le dimissioni dell’ex star della politica tedesca, il Ministro della Difesa Karl Theodor zu Guttenberg, sembra quasi che la classe politica tedesca debba essere presa a modello di moralità. E così effettivamente è stato. In Germania è sufficiente un piccolo scandalo (una dichiarazione poco opportuna, un prestito agevolato o una tesi di dottorato plagiata) per costringere a rassegnare le dimissioni da incarichi pubblici. Se confrontato al malcostume italiano, la differenza è evidente.
Un’altra caratteristica della classe politica tedesca, messa in evidenza dal settimanale liberal-progressista Die Zeit, è l’affermarsi di una figura politica diversa dal passato: donna e pragmatica. Se un po’ ovunque si cercano politici carismatici e spettacolari, in Germania con l’ascesa di personalità come Angela Merkel (CDU), Hannelore Kraft (Presidente della Nordreno Westafalia, SPD), Ursula von der Layen (Ministro del Lavoro, CDU) e Annegret Kramp-Karrenbauer (Presidente del Saarland, CDU) si delinea un politico con caratteristiche forse meno affascinanti da quelle, del passato, di Gerhard Schröder o Joschka Fischer, ma sicuramente più affidabile e che, in un periodo di crisi, trasmettono più fiducia. Peccato che queste donne siano in Italia molto poco conosciute e non prese a modello.
La cronaca recente pone all’attenzione un ultimo aspetto: la Germania ha aumentato gli stipendi degli statali del 6,3 per cento in due anni. Un aumento superiore al tasso di inflazione che, ricordiamo, è del 2,5 per cento nel 2012 e, in previsione, del 2 per cento nel 2013. Si tratta di un dato in netta controtendenza rispetto ai tagli imposti ai paesi dell’area euro. Tutti i giornali italiani hanno riportato la notizia ma nessuno, in questo caso, ha invitato a seguire la strada intrapresa della Repubblica Federale Tedesca. Rigore, stabilità, deficit basso e austerità sono sempre state le coordinate del modello tedesco, almeno per gli altri, ma quando si tratta di aumentare i già magri stipendi italiani, la Germania, improvvisamente, non rappresenta più un modello da capire e imitare.
È indubbio, infine, che la Germania abbia numerosi aspetti positivi e che possa essere un punto di riferimento per molti stati occidentali, Italia compresa. La Germania resta il perno dell’Europa. I suoi successi dimostrano come la disciplina del bilancio pubblico e un’economia sociale basata sui principi di mercato siano, alla lunga, le migliori ricette per la crescita e lo sviluppo. Ma l’Italia verrà fuori dalla crisi quando avrà saputo trovare una propria strada per uscire dalla crisi alla quale sta lavorando il premier Monti. Anche perché ci sono settori in cui l’Italia potrebbe essere, addirittura, un modello per la Germania. L’esempio classico sono le liberalizzazioni sugli orari nel settore del commercio. Lo stesso Presidente del Consiglio italiano, durante la sua visita a Berlino del gennaio scorso, ha sottolineato come la Germania potrebbe imparare molto dall’Italia. (Pubblicato su Liberal, 19.04.2012)
Ubaldo Villani-Lubelli
Per chi volesse approfondire consiglio un mio vecchio articolo sul modello tedesco nel finanziamento alla ricerca scientifica pubblicato sul sito della Fondazione Italianieuropei. Leggi l'intero articolo qui
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