Merkel fallisce la successione. Ora difficile transizione

Come molti grandi leader politici anche Angela Merkel ha fallito nella sua successione. L’erede designata Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK), eletta nel dicembre del 2018 dal congresso della CDU, ha annunciato di rinunciare alla candidatura a Cancelliera e si dimetterà dalla guida del partito e aprirà entro l’estate la procedura per scegliere un candidato cancelliere unitario che sia anche Presidente del Partito. Resterà Ministro della Difesa. Il passo indietro di AKK non è conseguenza soltanto della crisi in Turingia, ma di un conflitto ben più ampio tra moderati e conservatori all’interno della CDU.
Tra i cristiano-democratici tedeschi esiste la cosiddetta Werteunion, un’ala molto conservatrice, che non esclude un dialogo con l’estrema destra. Il ragionamento è semplice: un partito che in alcune regioni dell’Est ha percentuali intorno al 25 per cento non può essere ignorato. Con quel 25 per cento di cittadini che votano AfD bisogna dialogare e capire le loro esigenze e i loro problemi. Ignorarli è un suicidio politico. Una sfida ad Angela Merkel e ad AKK che dell’esclusione di AfD da qualunque forma di cooperazione politica (che poi non significa ignorare gli elettori di AfD) ne hanno fatto un pilastro della propria politica. Per loro, AfD non è una semplice destra ma un partito che mette in discussione i principi e i valori fondanti della Repubblica federale tedesca: l’europeismo, il diritto di asilo, la cultura del ricordo dei crimini nazisti e le responsabilità storiche della Germania.
La recente crisi in Turingia si è trasformata nella resa dei conti tra le due anime della CDU. AKK ha prima sottovalutato la gravità di ciò che stava avvenendo in Turingia e poi, una volta intervenuta, non è comunque riuscita a imporre subito la propria linea che prevedeva elezioni subito e nessuna cooperazione con l’estrema destra di AfD e neanche con l’estrema sinistra di Die Linke. Solo l’intervento di Merkel (forse neanche troppo gradito da AKK) e della maggioranza di governo ha sbloccato una situazione che resta in ogni caso molto confusa.
Nel chiarire la sua scelta, AKK ha anche sottolineato che uno dei problemi dei suoi mesi alla guida del partito è stato di non aver potuto avere la doppia carica (così come è stato abitualmente nella storia della CDU) di Presidente del Partito e Cancelliere. In altri termini, c’è stata un’indiretta ma chiara critica ad Angela Merkel che nel 2018 decise di lasciare la guida del partito, ma non la carica di Cancelliera. In realtà, oltre alla mancata autorità data dalla guida dell’esecutivo, AKK paga soprattutto una lunga serie di gaffes ed errori di comunicazione di cui ormai si è perso quasi il conto.
La conseguenza del passo indietro di AKK ha due effetti di medio termine. Prima di tutto ora la CDU dovrà eleggere un nuovo Presidente del partito entro l’anno, presumibilmente al congresso di dicembre. La nuova leadership potrebbe essere su posizioni molto più conservatrici rispetto alla Cancelliera Merkel. In questo caso, se si dovesse addirittura arrivare a mettere in discussione solo alcuni dei punti fermi dell’azione politica del cancellierato merkeliano (esclusione di AfD, politiche migratorie, europeismo, la CDU come forza moderata di centro) i giorni del quarto governo Merkel potrebbero essere contati. La vera incognita è se l’esistenza dell’esecutivo è condizionata o meno dal semestre di presidenza tedesco in Europa della seconda metà del 2020 durante il quale la Cancelliera ha in programma molte iniziative di politica internazionale che riguardano la Libia e, in generale, l’Africa. In secondo luogo, una CDU su posizioni meno centriste apre uno spazio politico enorme per la SPD e i Verdi che potrebbero conquistare molti elettori moderati.
Infine, le recenti vicende della politica tedesca, con colpi di scena e sorprese di tutti i generi, sono il sintomo di una trasformazione del sistema politico-istituzionale e, più in generale, della cultura politica che hanno caratterizzato tradizionalmente la Repubblica Federale. Non si tratta di una crisi delle forme della politica, non si tratta di una nuova Repubblica di Weimar né dell’avvento di una nuova dittatura. La Germania vive una transizione verso una fase storica nuova ma dai contorni tutt’altro che definiti e di difficile previsione: dalla conflittualità interna della CDU alla profondissima crisi della SPD, dall’ascesa dirompente dei Verdi a quella, uguale e contraria, dell’estrema destra, dalla fine della storica contrapposizione cristiano-democratici/socialdemocratici a inedite coalizioni di governo a livello regionale in cui CDU e SPD dialogano a turno con Verdi e Liberali (o con entrambi).
È un’epoca in cui sono cambiati non solo i rapporti di forza tra i partiti, ma anche quello tra il potere legislativo ed esecutivo (lo si visto proprio in Turingia), è cambiato il modo in cui si interpretano i ruoli istituzionali ed è cambiata la comunicazione politica; le campagne elettorali in Germania sono diventate verbalmente dure. Queste trasformazioni si sono inserite in un contesto sociale con un duplice profilo di conflittualità: la riunificazione tedesca non è stata priva di problemi e strascichi e i processi di globalizzazione hanno contribuito a rendere la società tedesca più diseguale rispetto al passato. Rispetto a tutte queste dinamiche il sistema politico tedesco non ha ancora trovato le giuste misure.

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