Dalla conferenza di Berlino tre novità rilevanti per la Libia

La conferenza di Berlino sulla Libia non aveva l’ambizione di mettere ordine a un caos che dura ormai da circa dieci anni. Doveva essere un primo, storico, passo verso una soluzione condivisa. Così è stato anche se non si fa mistero di una certa irritazione della padrona di casa, la cancelliera Merkel, per i comportamenti a volte poco concilianti dei due protagonisti libici, il generale Haftar e al-Sarraj che comunque, pur non avendo firmato le conclusioni, le hanno, di fatto, accettate.
Al di là del contenuto specifico del documento finale, la conferenza sulla Libia ha portato tre novità fondamentali che riguardano più in generale la politica estera e le relazioni internazionali.
La prima è che con questa conferenza si è rimesso al centro il ruolo cruciale della diplomazia. Tralasciando ingombranti paragoni storici, si pensi in particolare al Congresso di Vienna del 1814-15, è indubbio che con questa conferenza la cancelliera Merkel ha voluto dimostrare al mondo intero che l’unica strada per risolvere le crisi, e in particolare la crisi libica, è il multilatelarismo.
Un sistema che è stato messo in discussione in particolare da leader politici mondiali interessati ad atti di forza, con nefaste conseguenze anche per i civili (si pensi solo al recente abbattimento dell’aereo civile ucraino). Non a caso, la conferenza di Berlino è stata anticipata da un’intervista della Cancelliera Merkel al Financial Times in cui, tra i tanti punti toccati, ha affermato che nella parte finale della sua lunga carriera politica uno dei suoi obiettivi è di difendere e preservare il multilateralismo che è messo sotto attacco da Trump, dalla Brexit da una “resurgent Russia”.
La seconda novità è il ruolo della Germania. La Repubblica Federale tedesca, per evidenti ragioni storiche, ha sempre avuto (e per certi versi continua ad avere) un ruolo di secondo piano in numerose crisi mondiali. La Germania, del resto, non fa neanche parte dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Eppure nella lunga epoca merkeliana la Germania ha trovato un suo ruolo di protagonista nel mondo su presupposti diversi da quelli di una potenza militare.
Tramite la diplomazia Merkel ha portato la Germania a essere protagonista indiscussa della crisi in Crimea, dell’accordo con l’Iran sul nucleare, sull’intesa del G20 ad Amburgo su cambiamenti climatici e il protezionismo, sull’accordo sui migranti con la Turchia, per non parlare del ruolo di mediazione svolto durante la crisi greca in Europa. Infine, ora, sulla Libia.
A tal proposito, non si dimentichi che la Germania, per consapevole scelta politica, non partecipò alla guerra in Libia del 2011, origine del disastro attuale. Allora il governo tedesco fu fortemente criticato per una decisione che, secondo molti analisti, isolava ancor di più un Paese con una politica estera modesta. In realtà, il tempo ha dato ragione alla cancelliera che oggi, forte delle sue scelte del passato, e anche di un profilo internazionale unanimemente riconosciuto, ha convocato, a Berlino, non esattamente al centro del Mediterraneo, la più importante conferenza sulla Libia.
La Germania merkeliana è l’unico paese europeo con una chiara e definita strategia globale su pressoché tutti i temi dell’agenda politica internazionale caratterizzata da un realismo e una concretezza che spesso lasciano spiazzati la maggior parte degli analisti politici nonché dei leader dei grandi paesi spesso inclini ad atti di forza privi di una visione strategica complessiva.
L’ultima novità riguarda l’Unione Europea. Un protagonista assente solo in apparenza. L’errore che si commette nel criticare l’inconsistenza della politica estera europea è ignorare il presupposto esistenziale e ontologico dell’Unione stessa. Stiamo parlando non di uno Stato, ma di un’Unione di Stati priva di una sovranità europea. In quanto sommatoria di stati nazionali sovrani l’UE, in particolare nella politica estera, non è ancora chiamata a scavalcare i suoi membri. In questo senso il ruolo dei grandi Paesi fondatori, Francia, Germania e Italia, ha ancora un peso specifico notevole. Oggi la politica estera dell’UE è quantomai definita dal ruolo egemone della Repubblica Federale tedesca, che come detto è l’unico paese che riesce a coniugare strategia globale e realismo.

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