La nuova identità tedesca
La
storia dell’evoluzione della Germania è riassunta in due foto a distanza di
settant’anni. La prima di un ragazzino impaurito nel ghetto di Varsavia davanti
ad un soldato nazista, la seconda di un altro ragazzino, con il cappello di un
poliziotto tedesco, felice di essere accolto da rifugiato in Germania. Due foto
che simboleggiano il lungo percorso di riabilitazione di un Paese che dopo la
seconda guerra mondiale poteva sparire e diventare una semplice “entità geografica”
(Stalin). Il filosofo tedesco Helmuth Plessner racconta nel suo Die verspätete Nation che pochi giorni
dopo la capitolazione tedesca dell’8 maggio 1945, un amico e collega costretto
all’esilio gli disse: “Volete tornare veramente in Germania? Ma se non c’è
più!”[1]
La storia, come sappiamo, è andata diversamente e a oltre un quarto di secolo
dalla caduta del Muro di Berlino e dalla successiva riunificazione, la Germania
esiste ancora ed è una nazione nuova che non ha più nemici né rivendicazioni
territoriali.
La Repubblica Federale nata nel 1990, efficacemente definita la
terza Germania da Michael Gehler[2],
è una nazione in pace non solo con sé stessa ma soprattutto con i paesi
confinanti e con i restanti paesi europei. Tuttavia, proprio dopo la caduta del
Muro e la riunificazione che pure vanno lette come passaggi decisivi del
processo di integrazione europea in quanto hanno portato all’abbandono del
marco tedesco (tradizionale simbolo della rinascita tedesca dopo la seconda
guerra mondiale) e all’introduzione dell’Euro, la Germania ha compreso quanto
fosse importante avere un’identità nazionale. Se la Repubblica di Bonn era
definita una “democrazia post-nazionale fra Stati Nazionali” (Karl Dietrich
Bracher), la Repubblica di Berlino è una democrazia e uno Stato nazionale legato alle organizzazioni europee e
atlantiche. Già secondo il Lepenies, la tradizionale tensione tra Kultur e Zivilisation posta da Thomas Mann nelle Considerazioni di un impolitico è del tutto superata dagli eventi.[3] “Ciò
che ci unisce non è come eravamo ieri, ma come vogliano essere domani”, affermò
Lothar de Maiziere nel 1990 nel giorno della festa della riunificazione. Era
chiaro che con la riunificazione anche l’identità nazionale sarebbe cambiata.
Il patriottismo costituzionale e il primato del diritto non bastavano più. Se
questi erano principi cardine della Germania Occidentale, serviva evidentemente
anche qualcosa di simbolicamente forte che unisse due popoli, i tedeschi
dell’Est e dell’Ovest, separati per circa quarant’anni.
La
classe dirigente e politica tedesca ha iniziato a interrogarsi sul deficit di
simbologia politica della vecchia Repubblica di Bonn che rischiava di
riproporsi nella nuova Repubblica di Berlino. Negli anni di Bonn la parola
d’ordine era “funzionale”.[4]
Dalle strutture architettoniche agli edifici pubblici, fino alla semantica
politica e alle istituzioni, tutto doveva essere espressione di una modestia
programmatica di un paese senza ambizioni nazionali e internazionali. Proprio
per questo motivo l’identità nazionale tedesca è qualcosa di profondamente
diverso rispetto a quella di qualunque altra grande nazione occidentale.
Inoltre, diversamente dagli altri paesi europei e dagli Stati Uniti la Germania
non aveva veri e propri miti fondativi a cui richiamarsi. Nessuna presa della
Bastiglia con annessa Rivoluzione come in Francia, nessuna guerra
d’indipendenza come negli Stati Uniti, nessuna tradizione imperiale come in
Inghilterra, nessuna resistenza come in Polonia o in Italia.[5]
In Germania c’era soltanto il ricordo delle due sconfitte nelle guerre mondiali
e i crimini del Nazismo. Nessun paese si è sottoposto ad una profonda e intensa
elaborazione della propria storia rendendola moralmente vergognosa come la
Germania. Non l’ha fatto il Giappone, non l’ha fatto l’Italia e non l’ha fatto
neanche la Russia come erede dell’Unione sovietica e dei suoi crimini. Nel
lungo dopoguerra l’identità nazionale tedesca si è definita come una teologia
negativa, come presa di distanza dal nazismo che, naturalmente, ha
rappresentato un cesura storica fondamentale della storia tedesca.
La
Germania si è ritrovata una nazione senza storia e la questione della colpa era
diventata un aspetto centrale dell’identità nazionale tedesca: “Se si è nati
tedeschi si ha a che fare con il destino tedesco e con la colpa tedesca”,
scriveva nel 1945 Thomas Mann dal suo esilio negli Stati Uniti.[6]
Il rapporto tra colpa e identità nazionale si ritrova, indirettamente, anche
nel Grundgesetz (Legge fondamentale)
della Repubblica Federale dove nell’articolo 116 si afferma che “alle persone
già cittadine tedesche che furono private della cittadinanza tra il 30 gennaio
1933 e 1’8 maggio 1945, per motivi politici, razziali o religiosi, e ai loro
discendenti, dev’essere, a richiesta, nuovamente concessa la cittadinanza.” Le
due date, non a caso, indicano l’inizio e la fine del regime nazista. Si tratta
di un articolo di fondamentale importanza perché qui l’identità nazionale,
proprio nella Costituzione, viene legata alla colpa e alla responsabilità collettiva
delle discriminazioni e persecuzioni portare avanti durante la dittatura.
Da qui si
è consolidato, negli anni della Repubblica di Bonn, non solo il patriottismo
costituzionale, ma anche l’assenza di una simbologia nazionale. Dopo la caduta
del Muro di Berlino, la Repubblica Federale ha iniziato a colmare questo vuoto.
Già da tempo la Germania vive un processo di profonda reinvenzione (Gian Enrico Rusconi) di sé stessa perché la caduta
del Muro di Berlino ha rappresentato un vero proprio nuovo inizio (Neubeginn) della storia della Germania.
Una pagina completamente nuova.[7]
Dalla cosiddetta rivoluzione pacifica nella vecchia Repubblica Democratica
Tedesca (DDR) e dalla caduta del Muro è iniziato un processo di trasformazione
culturale, sociale e politica enorme ed inimmaginabile.
Nel 1999
il governo di Gerhard Schröder introdusse una riforma del diritto di
cittadinanza misto tra ius sanguinis
e ius soli: una persona nata da uno
dei due genitori da almeno otto anni in Germania aveva diritto alla
cittadinanza tedesca. Oggi il 20 per cento della popolazione tedesca è di
origine straniera. Nel 2010 l’allora presidente della Repubblica Christian Wulff
affermò, per primo, che l’Islam era parte della società tedesca, frase poi più
volte ripetuta (a dire il vero con non poche polemiche) da altri esponenti
politici tra cui la stessa cancelliera Merkel. Ed ancora, quest’anno la
Germania accoglierà quasi un milione di rifugiati e il numero, realisticamente,
aumenterà nei prossimi anni. La Repubblica Federale ha saputo inserire la altre
culture e tradizioni nella propria società riconoscendone l’importanza
culturale e il potenziale economico. Non a caso in Germania, dall’idea di una Leitkulur (cultura guida o cultura
dominante) si è passati all’importanza di una Begleitkultur (cultura di accompagnamento), di una Willkommenskultur (cultura
dell’accoglienza) o di Anerkennungskultur
(cultura del riconoscimento). Naturalmente non mancano tensioni e insofferenze
per un fenomeno improvviso nelle proporzioni ma a cui la società tedesca sembra
più preparata di altre.
Itedeschi della terza Germania sono sempremeno ossessionati dal dover essere per forza i primi della classe, del resto i
recenti scandali (Volkswagen, Mondiale di Calcio del 2006, Siemens e Deutsche
Bank) dimostrano che non sono evidentemente perfetti né aspirano ad esserlo, ma
sono interessati a rafforzare e rendere più competitiva l’Europa (e al suo interno
la Repubblica Federale) nel contesto globale.
La
Repubblica Federale è il paese più europeo e tendenzialmente più liberale (non
liberista) in Europa oltre che essere quello meno caratterizzato da movimenti
politici e partiti estremisti o antieuropeisti. Certamente esistono anche a
Berlino forze di estrema destra, ma queste rimangono ancora marginali nel
dibattito pubblico. La Repubblica di Berlino è il più autentico paradigma della
società europea, un vero e proprio prototipo di quello che potremo essere in
futuro: europei e internazionali in una società multiculturale ma non
relativista perché il rispetto delle regole di convivenza e delle istituzioni
resta imprescindibile. “Chi viene in Germania si deve attenere al consenso di
base (Grundkonsens) esistente”, ha scritto Stefan Ulrich sulla
Süddeutsche Zeitung (2.10.2015).
Insomma,
le differenze tra la Germania degli anni Settanta e Ottanta e quella attuale
sono enormi. Chi ancora prova a comprendere e interpretare la società e la
cultura tedesche con le categorie del passato è destinato a non comprendere il
senso profondo di una nazione che è il vero cuore pulsante dell’Europa. Espressione
di questa mutazione è proprio il nuovo e positivo sentimento nazionale che non
deve essere confuso con il nazionalismo e l’imperialismo del XX secolo. Un
tempo sventolare la bandiera tedesca era quasi un problema, da venticinque
anni, per fortuna, non più. È una normale manifestazione nazionale come in
qualsiasi altro paese europeo. Le imponenti ricostruzioni architettoniche, di
cui la città di Berlino ne è la manifestazione più bella e affascinante, sono l’espressione
di questo sentimento nazionale positivo che si nutre anche di una ben
determinata simbologia. La Germania ha imparato che esiste anche un passato a
cui potersi richiamare senza aver paura e che la propria vicenda storica non
deve e non può ridursi al nazismo; la dimostrazione migliore sono le migliaia
di israeliani che decidono da qualche anno a questa parte di andare a vivere proprio
a Berlino.
Il
9 novembre è una data fondamentale per la storia tedesca. Non è e non può
essere un giorno di festa, perché, oltre alla caduta del Muro di Berlino,
sempre in questo giorno fatale (Schicksaltag)
ci fu la proclamazione della Repubblica Weimar (1918), il fallimento del Putsch
di Hitler a Monaco (1923) e i Pogroms
nazisti (1938). Come ha scritto lo storico Winkler è un giorno di riflessione
sulla storia tedesca del Novecento. Ciò che si è realizzato tra il 9 novembre
del 1989 e il 3 ottobre del 1990 – l’unità nella libertà – è stato il risultato
di un lungo processo di tante forze e movimenti democratici, liberali e
socialdemocratici nel corso del XX secolo.[8]
Dopo
aver dato lezioni di come di fanno i conti con il proprio passato (e in Italia
abbiamo molto da imparare) oggi la Germania ha riscoperto un sano orgoglio
nazionale che diversamente dal passato non degenera nel nazionalismo ma che ben
si combina con i valori europei ed occidentali. La ricostruzione del Castello,
il bellissimo Regierungsviertel, l’installazione
al Reichstag “Dem deutschen Volke” sono tutte manifestazioni della
normalizzazione della Germania che riesce ad unire l’europeismo ad un nuovo
sentimento nazionale positivo.
VERSIONE IN INGLESE
Segui gli aggiornamenti e il materiale fotografico sulla pagina facebook del blog.
Segui gli aggiornamenti e il materiale fotografico sulla pagina facebook del blog.
[1] Helmuth Plessner, Die verspätet Nation, in: Gesammelte
Schriften VI, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1982, 11.
[2] Michael Gehler, Le tre Germanie. Germania Est, Germania
Ovest e Repubblica di Berlino, Odoya, Bologna 2013.
[3] Wolfgang Lepenies, Kultur und Politik. Deutsche Geschichte,
Fischer, München-Wien 2006, 269. Si veda anche Heinrich August Winkler, La Repubblica di Weimar, Donzelli, Roma
1998, 709-710.
[4] Heinz Bohrer, Die Ästhetik des Staates revisited, in:
Merkur. Ein neues Deutschland? Zur Physiognomie der Berliner Republik, Heft
9/10, 60 Jg, September/Oktober 2006, 749-758.
[5] Herfried Münckler, Die Deutschen und ihre Mythen, Rowohlt,
Berlin 2009, 9-30.
[6] Thomas Mann, Deutschland und die Deutschen, in: Essay
1938-1945, Bd. 5, Fischer, Frankfurt am Main 1996, 262.
[7] Angelo Bolaffi, The post-German Germany, in
Eutopiamagazine, 7.09.15.
[8] Heinrich August
Winkler, Auf ewig in Hitlers Schatten.
Über die Deutschen und ihre Geschichte,
Beck, München 2007, 150-153.
Commenti
Posta un commento