Dieci anni Merkel

Nel decimo anniversario del suo cancellierato Angel Merkel vive il suo momento più difficile. Quest’estate la donna più potente del mondo sembrava invincibile. I sondaggi davano l’Unione (CDU/CSU) ben oltre il 40 per cento e persino il socialdemocratico Torsten Albig, presidente del Land Schleswig-Holstein, riconosceva che la cancelliera stava facendo benissimo il suo lavoro e che per la SPD non ci sarebbe stato bisogno di contrapporle alcun candidato alle prossime elezioni del 2017
Anche nella tradizionale intervista estiva sulla seconda rete tedesca (ZDF) di metà agosto la giornalista che intervistava la Merkel immaginava non ci sarebbe stato nessuno a sfidare nel 2017 la cancelliera uscente. 

Anche se la crisi greca aveva messo duramente alla prova il ruolo della Germania in Europa, Angela Merkel aveva superato bene quella prova e con la disponibilità, manifestava a fine agosto, di accogliere i rifugiati e di sospendere il trattato di Dublino per i siriani aveva presentato il volto buono della cultura e della società tedesche. Merkel aveva raggiunto lo zenit del consenso e del potere. Nulla lasciava presagire una crisi.  
Come sempre in politica gli equilibri sono precari. A complicare la situazione c’è stato il crescente e incontrollato flusso di migranti verso la Germania che, per le dimensioni, ha irritato una parte consistente del partito della cancelliera ed in particolare i cristiano sociali bavaresi. Ma non è finita qui. Hanno improvvisamente ritrovato entusiasmo ed energia anche i movimenti di destra come Pegida, che ha ricominciato a manifestare a Dresda dopo mesi di irrilevanza mediatica, e Alternative für Deutschland, che, dopo essersi spaccato, i sondaggi lo davano lontano dalla soglia del cinque per cento necessaria per entrare in parlamento e oggi invece vengono dati stabilmente oltre tale soglia. Alternative für Deutschland ha messo da parte (o quasi) l’euroscetticismo per cavalcare i temi legati all’immigrazione.
Nonostante tutto la cancelliera era riuscita a tenere sotto controllo la situazione (anche grazie ad un sostanziale appoggio della buona parte dell’opinione pubblica internazionale) e a limitare i danni generati dai contrasti interni al suo partito. Non a caso il The Economist, appena due settimane fa, le ha dedicato la copertina (The indispensable European) sottolineando come Merkel resti il leader europeo di cui l’Europa ha oggi maggior bisogno.
Tuttavia, dopo gli attentati di Parigi la situazione è cambiata. Merkel ha cercato, come sempre, di rassicurare i propri cittadini e tenere a bada la celebre German Angst (paura tedesca), anche annunciando la sua presenza all’amichevole di calcio Germania-Olanda ad Hannover il 17 novembre scorso. L’annullamento della partita ha rivelato quanto critica sia la situazione anche nella Repubblica Federale
Rispetto alle posizioni belligeranti di Hollande e Putin, Angela Merkel ha sempre preferito, pur non mettendo in discussione l’appoggio tedesco alla Francia, la via diplomatica. Non è questione di carattere: le posizioni non belligeranti della Germania sono in perfetta continuità con le scelte di Berlino sin dalla guerra in Iraq (2003) e in Libia (2011), a cui la Germania non ha partecipato. 
Eppure la questione è complessa e tutt’altro che risolta perché il dibattito politico tedesco si è infiammato.  Sulla Welt, Mathias Döpfner, presidente della storica Axel Springer, uno dei più grandi gruppi editoriali in Europa, si chiede “come vogliamo difendere la nostra libertà? Dobbiamo sottometterci o fare la guerra? Se dobbiamo combattere: come?” Secondo Döpfner, non solo è necessario difendere in tutti i modi i nostri valori, ma si rende urgente anche una svolta politica: una radicalizzazione del centro che superi la tradizionale contrapposizione tra populismo di destra e di sinistra. Un centro radicale che difenda con forza i propri valori di libertà e la propria democrazia. “Abbiamo bisogno di un’Europa forte”, conclude Döpfner, “altrimenti saremo colpevoli nei confronti delle vittime e dei nostri bambini”. Per Gustav Seibt della Süddeutsche Zeitung, invece, l’intera discussione sui valori è un errore di prospettiva. Ciò di cui dovremmo discutere è della lotta a degli assassini e non di una guerra dei valori e delle culture. Sulla stessa linea Bernd Ulrich sulla Zeit. In un lungo (e bellissimo) articolo sottolinea che europei e americani conducono da quattordici anni ininterrottamente guerre nel Medio Oriente. E a cosa hanno portato? A più caos,  a più guerra e a più terrore. Eppure è stato proprio il presidente della Repubblica Tedesca Joachim Gauck, il primo a parlare apertamente di “guerra” dopo gli attacchi di Parigi. 
Fino ad ora la cancelliera, in perfetto stile merkeliano, ha evitato di affrontare veramente il problema. È chiaro però che si tratta di una questione che riguarda principalmente lo schieramento conservatore e le posizione dell’Unione (CDU/CSU) perché è da quell’area politica che sono arrivate le critiche più dure a Merkel, che è stata accolta molto freddamente venerdì al congresso dei cristiano-sociali. Anche i redivivi liberali (FDP), hanno attaccato la politica sui rifugiati della cancelliera che con le sue scelte non ha permesso di governare con ordine un flusso migratorio che era già consistente. Per Lindner, presidente della FDP, Merkel dopo aver raggiunto il suo apice è ora in piena fase discendente
Anche se Angela Merkel, proprio in occasione dei suoi dieci anni alla guida della Germania, si trova ad affrontare la sua prima grande crisi di consenso, secondo lo Siegel, farà di tutto per non essere ricordata come la Cancelliera di guerra (Kriegskanzlerin). Tuttavia, la guerra all'ISIS sembra diversa. La tradizionale linea diplomatica preferita dalla Cancelliera potrebbe essere abbandonata per lasciare spazio ad un intervento militare tedesco. La nuova leadership tedesca richiede responsabilità politiche e internazionali a cui Berlino non può sfuggire.

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Per saperne di più: Enigma #Merkel: In Europa il potere è donna, goWare 2015.


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