La Genealogia della morale di Nietzsche spiegata da Giuliano Campioni: un resoconto
L’8 gennaio, presso il Circolo Agorà
di Lucca, Giuliano Campioni ha tenuto una lezione sulla Genealogia
della morale di Friedrich Nietzsche. Non credevo, dopo tanti
anni di frequentazione di Campioni (e di Nietzsche!), di poter
ancora imparare da un’occasione destinata a non specialisti. Ma da Giuliano
Campioni, editore e grande conoscitore delle opere del filosofo tedesco,
c’è sempre da imparare.
Genealogia della morale è un libro difficile. Nietzsche lo ha scritto – se vogliamo credergli – nello spazio di venti giorni, nel 1887, ma rappresenta un concentrato delle sue più potenti e provocanti eterodossie filosofiche. Che significano davvero bene e male, colpa e cattiva coscienza, l’ideale ascetico, e quale valore hanno in se stessi? L’indagine genealogica – tanto dura da somigliare a un tavolo di dissezione anatomica – ne mostra per Nietzsche l’origine umana e spesso perversa. La ricerca psicologica ha il compito di confutare l’assolutezza della ragione e della morale, individuandone la fonte nei bisogni e negli istinti. Ma, ciò che è più importante, Nietzsche si erge – in questa opera come durante tutto il suo percorso umano e filosofico – contro ogni riduzionismo della complessità a un fattore dato, si chiami esso coscienza, natura, valore, corpo...
Il destino di questo “primo psicologo tra i filosofi” – come Nietzsche stesso amava definirsi – è stato invece di distorsione e di fraintendimento di una complessità meravigliosa, che Campioni teme di (ri)vedere all’opera ai giorni nostri. Ogni sintesi radicalizza soltanto una parte della filosofia nietzscheana, ogni sintesi non può dunque che fargli un torto.
Non è male allora ricordare le aberrazioni dell’antisemita Dühring, per il quale la “bionda bestia” della Genealogia della morale nascerebbe «da un immaginario servile, abbagliato dalla potenza e comunque non ariano»; le volgarizzazioni di un D’Annunzio; le esaltazioni parossistiche, le maschere esistenzialiste e, in generale, tutte quelle letture caratterizzate da inerzia mentale e morale, nemiche della scienza – intesa come pulizia e onestà intellettuale – mai vinte e sempre in agguato.
Ed è bene (ed è bello) che Campioni ricordi con passione tutto questo proprio a Lucca, patria di quel Mazzino Montinari che volle ostinatamente, negli anni ’60, l’edizione critica e “liberatoria” degli scritti nietzscheani, e di quel Giorgio Colli che, suo professore al Liceo, in quegli anni difficili insegnava a leggere Nietzsche lontano dalle semplificazioni e dai miti e fuori da ogni retorica.
Campioni ci ha messo in guardia – ha messo in guardia prima di tutto noi studiosi – con le parole del suo maestro e amico Montinari: «I nietzscheani sono “una razza esecrabile”, nessuno escluso». «Una parola – aggiungerebbe Nietzsche – che tra gente come noi, s’intende, non giudica ma definisce».
Genealogia della morale è un libro difficile. Nietzsche lo ha scritto – se vogliamo credergli – nello spazio di venti giorni, nel 1887, ma rappresenta un concentrato delle sue più potenti e provocanti eterodossie filosofiche. Che significano davvero bene e male, colpa e cattiva coscienza, l’ideale ascetico, e quale valore hanno in se stessi? L’indagine genealogica – tanto dura da somigliare a un tavolo di dissezione anatomica – ne mostra per Nietzsche l’origine umana e spesso perversa. La ricerca psicologica ha il compito di confutare l’assolutezza della ragione e della morale, individuandone la fonte nei bisogni e negli istinti. Ma, ciò che è più importante, Nietzsche si erge – in questa opera come durante tutto il suo percorso umano e filosofico – contro ogni riduzionismo della complessità a un fattore dato, si chiami esso coscienza, natura, valore, corpo...
Il destino di questo “primo psicologo tra i filosofi” – come Nietzsche stesso amava definirsi – è stato invece di distorsione e di fraintendimento di una complessità meravigliosa, che Campioni teme di (ri)vedere all’opera ai giorni nostri. Ogni sintesi radicalizza soltanto una parte della filosofia nietzscheana, ogni sintesi non può dunque che fargli un torto.
Non è male allora ricordare le aberrazioni dell’antisemita Dühring, per il quale la “bionda bestia” della Genealogia della morale nascerebbe «da un immaginario servile, abbagliato dalla potenza e comunque non ariano»; le volgarizzazioni di un D’Annunzio; le esaltazioni parossistiche, le maschere esistenzialiste e, in generale, tutte quelle letture caratterizzate da inerzia mentale e morale, nemiche della scienza – intesa come pulizia e onestà intellettuale – mai vinte e sempre in agguato.
Ed è bene (ed è bello) che Campioni ricordi con passione tutto questo proprio a Lucca, patria di quel Mazzino Montinari che volle ostinatamente, negli anni ’60, l’edizione critica e “liberatoria” degli scritti nietzscheani, e di quel Giorgio Colli che, suo professore al Liceo, in quegli anni difficili insegnava a leggere Nietzsche lontano dalle semplificazioni e dai miti e fuori da ogni retorica.
Campioni ci ha messo in guardia – ha messo in guardia prima di tutto noi studiosi – con le parole del suo maestro e amico Montinari: «I nietzscheani sono “una razza esecrabile”, nessuno escluso». «Una parola – aggiungerebbe Nietzsche – che tra gente come noi, s’intende, non giudica ma definisce».
Maria Cristina
Fornari
Commenti
Posta un commento