La vittoria di Trump smentisce i keynesiani

L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America riguarda anche l’Europa e la Germania. Non tanto perché la famiglia Trump sia di origine tedesca (il bisnonno era un tedesco emigrato negli USA), ma perché la vittoria di Donald Trump può aiutare a comprendere gli errori che sono stati commessi nell’interpretazione della grande crisi economica e politica degli ultimi anni.

Molti tra i critici keynesiani delle politiche economiche dell’Unione Europea e della Germania (disciplina di bilancio e riduzione del debito) hanno sempre elogiato le politiche espansive del governo Obama indicandole come modello da seguire per uscire dalle secche della crisi e per arginare l’ascesa delle forze di destra. Ebbene, la vittoria di Donald Trump è la dimostrazione di quanto sia sbagliata quest’interpretazione perché proprio il candidato repubblicano è riuscito a vincere anche grazie al ceto medio e alla working class che non ha goduto di una ripresa economica effimera e poco sostanziale come quella americana. E’ chiaro, dunque, che non esistono soluzioni facili né bacchette magiche, ma la prognosi keynesiana è profondamente sbagliata.

Del resto, la più comoda delle spiegazioni del fenomeno del populismo è che sia stato causato dalle politiche di austerità. Proprio la vittoria di Trump dimostra come il fenomeno dell’ascesa dei movimenti anti-sistema e populisti non ha nulla a che fare con l’austerità, perché proprio negli USA questa non è stata applicata. Ha certamente a che fare con la crisi economica, ma il fatto che anche negli Stati Uniti (dove, ripeto, è stata fatta una scelta diametralmente opposta all’austerity) abbia vinto un populista come Trump, è, ancora una volta, la dimostrazione di quanto sia erronea e limitata l’interpretazione che lega austerità ai movimenti populisti. Le cause vanno cercate altrove e, forse, dovremmo dare meno credito a certi economisti e commentatori e rivalutare l'approccio tedesco alla gestione della crisi.

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