L'UE può fare a meno del Regno Unito

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è una grande occasione. Può sembrare paradossale ma è così: l’Europa può fare a meno del Regno Unito, che è sempre stato con più di un piede fuori dell’Europa. I governi di Londra hanno sempre contrastato qualunque forma di accelerazione del processo di integrazione europea, si sono opposti ad una ever closer union e preteso uno status di eccezionalità. Del resto, condizione perché David Cameron facesse campagna per il Remain erano una serie di richieste, che l’Unione avrebbe fatto meglio a respingere al mittente.
Insomma, il problema è che la classe politica e dirigenziale del Regno Unito non si sente parte dell'Unione e quando vuole esserlo, lo vuole solo fino a un certo punto. Sintetizzando brutalmente: vuole i vantaggi del mercato unico e dei generosi finanziamenti europei, ma, per esempio, non vuole accogliere i rifugiati, non vuole responsabilità comuni, né, men che meno, far parte della moneta unica. A chiunque stia a cuore il futuro dell’Unione, un simile stato membro è più un ostacolo che una risorsa.

Non è certamente un’eresia affermare che uno degli errori della costruzione europea è che, dagli anni Novanta in poi, le istituzioni europee hanno ragionato secondo la logica del “tutti dentro”. Qualunque stato volesse far parte della famiglia europea poteva, potenzialmente, entrare. L’allargamento a Est è forse la dimostrazione più evidente di tale processo. La conseguenza è che ora l'Unione è un caos ed in cui è sempre più difficile trovare una sintesi politica. Non si tratta, naturalmente, di fare un’Europa piccola o grande, si tratta, al contrario, di fare l'Europa politica, possibilmente federale, con i paesi che vogliono effettivamente cedere quote consistenti di sovranità (e non mi sembra il caso del Regno Unito).

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