La Germania può fare i conti con Hitler perché oggi ha una nuova identità


Vi ripropongo un mio vecchio articolo del 17 gennaio 2011 sulla mostra "Hitler ed i tedeschi". E' molto utile rileggere questo articolo allu luce delle recenti polemiche e accuse tra alcuni giornalisti italiani e tedeschi.

Hitler e i tedeschi. È questo il titolo della mostra del Deutsches Historisches Museum di Berlino. Un primo tentativo di realizzarla fu fatto sedici anni fa, ma il progetto fu annullato per paura che la figura di Hitler portasse involontariamente ad una sorta di fascino del male e che la figura di Hitler potesse diventare una modello di imitare. Oggi, a circa sessantacinque anni dalla fine del Nazismo e della seconda Guerra mondiale, il Museo storico tedesco è riuscito a realizzare una mostra su Adolf Hitler, uomo, politico e dittatore.

Se in ambito accademico il Führer è stato a lungo studiato e analizzato, per il grande pubblico è stato a lungo un tabù. Nel corso degli ultimi decenni non sono certo mancate ricostruzioni storiche del dittatore e dell’uomo Hitler nonché interpretazioni caricaturali, ma mai si è cercato di approfondire per intero e spiegare al grande pubblico le ragioni storiche, sociali e politiche dell’ascesa al potere di un anonimo signore austriaco, privo di esperienza politica e di particolari qualità politiche ed umane.

I curatori della mostra hanno cercato di descrivere il successo di Hitler non come qualcosa di improvviso e frutto del caso, quasi caduto dal cielo, ma come un fenomeno reso possibile sia da una serie di circostanze storiche sia dal sostegno di una larga parte delle élite conservatrici del tempo. La dittatura di Hitler ebbe largo consenso nella popolazione, affascinata dalle promesse di benessere e prosperità, e poté contare anche sull’appoggio di una parte cospicua delle forze politiche che erano convinte di poter trarre un qualche vantaggio politico nel sostenere Hitler.

Come ha ben spiegato Simone Erpel, una delle curatrici della mostra, si trattò di una Zustimmungsdiktatur, una dittatura del consenso. Sarebbe del resto troppo facile e comodo individuare nella sola persona di Adolf Hitler l’unico e solo responsabile di numerosi crimini. Tra l’altro, proprio in questi ultimi mesi è stata pubblicata la documentazione di una commissione, voluta alcuni anni fa dall’allora ministro degli Esteri Joschka Fischer, sul coinvolgimento del Ministero degli Esteri del Terzo Reich nello sterminio degli ebrei. La Commissione, composta da numerosi storici e diretta dallo storico Eckhart Conze, ha dimostrato il coinvolgimento diretto ed il sostegno alla persecuzione ed annientamento degli ebrei da parte del Ministero.

Come ha giustamente ricordato lo storico e germanista Gian Enrico Rusconi su La Stampa del 29 ottobre scorso, commentando proprio la mostra Hitler e i tedeschi, “il lavoro degli storici fa definitivamente crollare il mito residuo che nello Stato hitleriano ci fossero settori relativamente integri … La storiografia professionale tedesca non si lascia più condizionare nel portare alla luce spietatamente la verità storica”.

La mostra è, in questo senso, anche una retrospettiva sul popolo tedesco, sulla loro storia, e sull’attrazione che provò una larga parte della popolazione per Adolf Hitler. Non è un caso che il sottotitolo sia Collettività nazionale e crimine. La mostra indaga, del resto, il rapporto e le condizioni politiche e sociali che portarono alla tragica presa del potere da parte di Hitler. Una presa del potere dovuta anche all’instabilità ed alla conflittualità di gran parte della classe politica del tempo grazie alla quale Hitler ebbe gioco facile nell’instaurare il proprio regime .

Come ha ricordato lo storico Hans-Ulrich Thamer, anch’egli curatore di Hitler e i tedeschi, la mostra, accompagnando i visitatori in un percorso guidato che si sviluppa cronologicamente, offre l’occasione di vedere foto, sculture, oggetti d’uso quotidiano, tutto il materiale della propaganda nazista che portò all’identificazione del Führer con il leader di una nazione. Sono presenti anche testimonianze di resistenze al Nazismo, tra cui è da ricordare un libricino Todeskampf der Freiheit (Agonia della libertà) con sulla copertina una grafica di Käthe Kollwitz. Si possono anche vedere i documenti che mostrano come Hitler continuò ad affascinare e suscitare interesse in una parte di cittadini anche dopo la fine della guerra. Non manca, infine, la documentazione sulle caricature di Hitler e le ironie su Hitler fatte all’estero al tempo della dittatura nazista, come quella magistrale di Charlie Chaplin nel 1940.

Originariamente prevista per il 6 febbraio, la chiusura della mostra è stata posticipata di ben tre settimane, al 27 febbraio, per il crescente – e forse inaspettato aggiungeremmo - numero di visitatori. Proprio nel successo di questa mostra (solo apparentemente scomoda per la storia della Germania), si può leggere la grandezza morale e la capacità di rielaborazione storica di un popolo e di una classe dirigente che nel corso degli ultimi decenni è riuscita reinventarsi un’identità.
Pubblicato su L'Occidentale, 17 gennaio 2011

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