L'Europa tedesca, i limiti dell'Ue e l'Italia

Ci eravamo quasi dimenticati dei baffetti hitleriani sul volto di Angela Merkel e le vignette (false) con italiani a testa in giù. Il fantasma di una Germania dominante e tesa a conquistare l’Europa non più con i panzer ma con gli strumenti del surplus commerciale, delle regole europee, del rigore finanziario o della condizionalità del MES è riemerso nelle ultime settimane con il dibattito sui coronabond.
L’UE, un commonwealth tedesco
La discussione di questi giorni cade tra due anniversari che sono parte dell’armamentario dialettico della tesi del domino tedesco in Europa: il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e della riunificazione tedesca (3 ottobre 1990). Due eventi all’origine dei quali nascono l’Unione Europea di Maastricht (1992-93) e la moneta unica. Due eventi che hanno cambiamo radicalmente il progetto europeo nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale.
Nei primi anni Novanta è mutata radicalmente l’influenza geopolitica della Germania in Europa, unico Paese a unirsi in un contesto di progressiva disgregazione del blocco sovietico. In quest’Europa che nel frattempo si è allargata a Est, la Germania è il Paese intorno al quale si è venuto a creare quello che Ernesto Galli della Loggia, nel 1990, definiva “commonwealth tedesco”, un organismo incentrato intorno a un centro fortissimo, la Repubblica Federale riunita (La Stampa, 13 settembre 1990).
Per volontà francese il progetto europeo, dopo la caduta del Muro di Berlino, non si sviluppò verso un’unione politica. L’intento principale restava quello di contenere l’egemonia di una Germania riunificata. Del resto il presidente francese Mitterrand disse: noi francesi abbiamo l’atomica ma i tedeschi hanno il marco. L’Euro, nella misura in cui avrebbe dovuto ingabbiare la Germania, ha fallito.
Trent’anni dopo, per molteplici ragioni, la Germania è, tra i Paesi fondatori dell’UE, lo Stato che meglio di tutti ha saputo investire nel progetto ‘Unione Europea’. In questa UE la Germania sarà sempre la prima della classe perché è il Paese più popoloso, è l’economia più forte, esporta più degli altri ed è più avanti di altri in tecnologia e ricerca. Ha una sfera d’influenza enorme nelle aree geografiche del centro, dell’Est e del sud-est Europa per ragioni storiche, economiche e geografiche di lunga durata che prescindono dalla storia recente.
Nonostante questa sua egemonia-di-fatto la Germania non incarna una leadership politica, almeno non una leadership così come la si intende in Italia. La Repubblica Federale tedesca non incarnerà mai una leadership politica, non sarà mai quello che sono (o forse sono stati) gli Stati Uniti perché non ha la stessa forza economica, non è nella sua natura volta al normativismo, non ha una cultura così dominante all’estero e non ha un lingua franca come l’inglese. 
I limiti dell’UE
In questo contesto bisogna anche capire come funziona l’UE. Prima di tutto l’UE non è uno Stato, non ha i poteri e le competenze proprie di uno Stato nazionale e non si può pretendere che agisca come se fosse un Stato. L’UE è un’organizzazione internazionale intergovernativa composta da Stati sovrani che hanno deciso di condividere parte della propria sovranità in alcuni pochi settori specifici lasciando tuttavia agli stessi governi degli Stati Membri il potere di indirizzo politico incarnato dal Consiglio Europeo dove risiedono, non a caso, i capi di stato e di governo.
Inoltre, la legittimità democratica dell’UE è fondata esclusivamente su base nazionale. I governi degli Stati membri rispondono al proprio elettorato nazionale. Lo Stato nazionale, all’interno del sistema dell’Ue, è uno degli elementi fondamentali per comprendere il funzionamento dell’Unione e le ragioni di molte scelte apparentemente incomprensibili di molti dei leader europei.
I capi di stato e di governo dei singoli Stati membri rispondono politicamente al proprio elettorato nazionale e all’opinione pubblica della propria nazione. In altri termini, se vogliono vincere le elezioni devono fare i conti con le esigenze e le aspettative degli elettori che li dovranno eleggere o confermare. In questo senso l’UE è il campo di battaglia politico dei governi nazionali alla ricerca del consenso nel proprio Paese.
Solidarietà e debito
Per quanto riguarda lo scetticismo del governo tedesco sulla condivisione del debito ci sono dinamiche e processi di politica interna che non possono essere ignorati.
Prima di tutto una sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 2009 esclude di mutualizzare senza limiti i debiti degli Stati aderenti all’Euro. Questo naturalmente non esclude condivisioni parziali e limitate. Un altro motivo, del tutto assente dalla discussione pubblica, ma certamente non poco rilevante, è che se dei titoli di stato europei (eurobond) fossero messi sul mercato il tasso d’interesse sarebbe certamente più alto rispetto ai titoli di Stato della Repubblica Federale.
Di conseguenza gli investitori non comprerebbero più titoli dello Stato tedeschi e il finanziamento del debito tedesco (di cui la percentuale in rapporto al PIL è moderata ma la cifra assoluta è alta) diventerebbe molto più complicato.
Infine, se i cristiano democratici tedeschi accettassero gli Eurobond, la CDU si esporrebbe a una facile critica demagogica da parte dell’estrema destra tedesca di AfD da sempre contraria a qualunque forma di solidarietà nei confronti dei Paesi del Sud Europa. Cedendo sugli eurobond potrebbero aumentare i consensi ad AfD, rendendo ancora più instabile non solo la Germania ma anche l’UE.
Ma la posizione tedesca rivela anche un’idea di solidarietà che si riallaccia alla leadership di cui sopra. Se la solidarietà umanitaria della Germania è encomiabile ed evidente come dimostrato dai numerosi pazienti italiani trasportati in terapia intensiva negli ospedali tedeschi, altro discorso vale per la solidarietà finanziaria.
In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 2018 Merkel, a proposito di solidarietà, disse che nell’UE attuale, quella degli Stati nazionali, “ogni Stato Membro ha un’alta responsabilità individuale sebbene la moneta comune sia nell’interesse di tutti. La solidarietà tra i partner europei non deve mai sfociare in un’unione di debiti, ma deve essere un aiuto finalizzato a rafforzamento le capacità individuali dei singoli Stati” (capacity building). In altre parole la solidarietà finanziaria non è un dono.
È con questa realtà che la politica e l’opinione pubblica italiane dovrebbero confrontarsi. Evocare una fantomatica quanto inesistente volontà di potenza tedesca e ricordare (ignorando i dettagli storici) i debiti cancellati alla Germania è sbagliato così come è del tutto illusorio auspicare di trasformare in una riunione del Consiglio Europeo la natura intergovernativa e nazionale dell’UE. 

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