L'Europa franco-tedesca: perché l'Italia è fuori

Il Trattato di Aquisgrana con cui Francia e Germania hanno rafforzato ancora di più la loro cooperazione ha suscitato non poche polemiche. Non solo per la (presunta) debolezza politica dei due leader che l'hanno sottoscritto, Emmanuel Macron e Angela Merkel, ma anche perché considerato l'ennesimo tentativo dei due più grandi Paesi fondatori di egemonizzare l'Unione Europea.
In realtà, il Trattato, di per sé, non rappresenta nulla di nuovo. Prima di tutto è un'integrazione del precedente Trattato dell'Eliseo del 1963. E poi Francia e Germania sono sempre state il motore dell'Europa. Il progetto europeo nasce dalla riconciliazione franco-tedesca (Dichiarazione Schuman) con cui Berlino e Parigi condivisero la produzione di carbone e acciaio, ovvero ciò su cui i due grandi paesi europei si facevano la guerra da circa un secolo. Interessi politici mascherati da interessi economici. Dal 9 maggio 1950, giorno della dichiarazione che prende il nome dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, l'Europa è cambiata molto. Dai sei Paesi fondatori del 1957 si è arrivati a ventotto (presto, forse, a ventisette), ma Francia e Germania continuano ad essere il nucleo fondamentale dell'Unione Europea. Faccio solo un esempio. Nel luglio del 2015, in piena crisi greca, quando Francia e Germania avevano posizioni divergenti, l'allora Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, disse che "Francia e Germania non la pensano sempre allo stesso modo ma alla fine trovano una sintesi. Senza Germania e Francia non si fa nulla."
Eppure in questo equilibrio europeo, diversamente da quanto possa sembrare a un'analisi superficiale, c'è posto anche per l'Italia. Anzi, c'è stato per lungo tempo, almeno fino alla metà degli anni Novanta. In un'intervista sempre del 2015 (Il Mulino, 3/15, n. 479), l'ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer ricordava come il problema dell'Europa non fosse lo strapotere di Francia e Germania, quanto, piuttosto, l'irrilevanza dell'Italia, che negli ultimi due decenni ha perso peso politico e non svolge il ruolo di equilibratore rispetto all'asse franco-tedesco (non di rado conflittuale). In altri termini il problema è l'incapacità del nostro paese di coniugare la tutela dei propri interessi nazionali (così come è del tutto normale in Europa) con l'indispensabile europeismo, essendo un Paese fondatore. Il ruolo di compensazione dell'Italia si dovrebbe concretizzare non solo nel rispetto dei Trattati e delle regole che si sono dati democraticamente tutti gli Stati Membri ma anche in credibili progetti di riforma delle istituzioni dell'Unione e della governance europea.
Pensare di mettere fine all'asse franco-tedesco è ridicolo, presuntuoso e politicamente suicida. All'Italia non servono dimostrazioni di una forza che non ha, ma di un autorevole lavoro diplomatico e politico che coniughi serietà e competenza. Il dovere morale della classe dirigente e politica italiana deve essere quello di ricominciare a pensare all'Europa come al più grande investimento politico, culturale ed economico possibile. Un'occasione straordinaria in questo senso era il Trattato del Quirinale tra Francia e Italia che sarebbe stata una straordinaria concreta risposta alla Germania e alla sua politica estera. Il risultato dell'inazione del governo italiano è che oggi Francia e Germania si faranno sponda reciprocamente affinché Berlino ottenga un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite attualmente composto da 5 membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito) e da 5 non permanenti, votati a rotazione (2019-20: Belgio, Germania, Indonesia, Repubblica Dominicana e Sudafrica).
Tra l'altro proprio sull'articolo del Trattato di Aquisgrana in cui Francia e Germania si dicono intenzionate a lavorare per il seggio permanente per i tedeschi, non sono mancate le polemiche del Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte che in un'intervista al Corriere della Sera ha rivendicato quel seggio per l'Unione europea. Peccato, tuttavia, che già nel giugno scorso, rispondendo con molta timidezza alle ambiziose proposte di riforma dell'Unione Europea fatte da Macron nel suo famoso discorso alla Sorbona, la Cancelliera Angela Merkel aveva affermato che la riforma del Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto portare a un seggio permanente per l'Unione Europea. Allora, da Roma non si ricordano commenti. Nel frattempo la Germania sembra indubbiamente aver cambiato idea. A ragione, verrebbe da dire, visto lo spettacolo imbarazzante degli ultimi mesi di dichiarazioni contro l'Unione Europea, di violazioni dei diritti, di trattative con la Commissione europea condite da pietose spettacolarizzazioni mediatiche. Quale affidabilità politica e diplomatica ha offerto (e offre tutt'ora) un Paese fondatore come l'Italia? Nessuna. Se la Germania farà una battaglia per un seggio permanente, in questo contesto politico, non può che farla per se stessa. Purtroppo la politica estera non si improvvisa.

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