L'Italia, Macron e l'asse franco-tedesco

Dopo l’elezione di Emmanuel Macron ci si aspettava un nuovo protagonismo francese che potesse bilanciare il potere tedesco. In parte è quello che sta avvenendo. La Germania ha bisogno di una Francia forte, tanto quanto il resto d’Europa. Insomma, il nuovo asse franco-tedesca nell’edizione Macron-Merkel lascia ben sperare. Ma qual è il ruolo che può svolgere l’Italia in un’Europa in cui gli equilibri politici sono parzialmente mutati rispetto a un anno fa?  
Ieri su Il Messaggero l’ex Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Commissione Europea Romano Prodi scriveva che Macron sta certamente riequilibrando la politica europea, ma è diverso notare come questo stia avvenendo con un processo di esclusiva “riassicurazione” degli interessi nazionali francesi (peso economico e militare della Francia, protezione delle imprese francesi, chiusura rispetto alla richieste dell’Italia sui migranti) e con una particolare emarginazione dell’Italia (23 luglio 2017). In un’Europa intergovernativa, che Macron persegua gli interessi francesi, è normale, comprensibile direi. Ha fatto lo stesso Angela Merkel, lo fa Viktor Orbán così come il candidato austriaco Sebastian Kern in piena campagna elettorale. Lo fanno i governi che sono forti e stabili a casa loro. Purtroppo non lo fa l’Italia da sempre vittima dell’instabilità politica. 


In un’intervista di un paio di anni fa, l’ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer ricordava come il problema dell’Europa non fosse solo lo squilibrio tra Francia e Germania (in parte ricomposto dopo l'elezione di Macron) ma anche l'irrilevanza dell’Italia, che a partire dalla metà degli anni Novanta ha perso peso politico e non svolge più il ruolo di equilibratore in Europa tra Francia e Germania. («Rivista Il Mulino», 3/15, n. 479, p. 547). Si tratta di un’affermazione importante che fa riflettere sul ruolo svolto in passato dall’Italia (di cui noi italiani spesso non ne siamo del tutto consapevoli), ma, al contempo, della scarsa considerazione di cui gode l’Italia da almeno due decenni. Insomma il problema non è Macron o l’Europa che sembrano insensibili ai problemi e alle esigenze dell’Italia, ma l’incapacità del nostro paese di coniugare un sano nazionalismo politico finalizzato a tutelare i propri interessi (così come fanno tutti in Europa) con un alto e indispensabile europeismo che si dovrebbe concretizzare non solo nel rispetto delle regole (affermazione ovvia) ma anche in credibili progetti di riforma delle istituzioni senza pensare di mettere sempre tutto nuovamente in discussione (dai parametri di Maastricht al surplus commerciale tedesco fino al Trattato di Dublino) e, come scrive Beda Romano, chiedendo costantemente flessibilità e comprensione. Non abbiamo bisogno di dimostrazioni di forza ma di un grande e autorevole lavoro diplomatico e politico-culturale che coniughi serietà e competenza. La classe dirigente e politica italiana deve ricominciare a pensare all'Europa come al più grande investimento politico, culturale ed economico che abbiamo. Macron, in un'intervista al settimanale tedesco Die Zeit dello scorso anno, quando ancora era solo candidato, disse che c’era stata una generazione che ha fondato l’Europa, una seconda che l’ha sviluppata a cui è seguita un’altra che si è dovuta confrontare con la crisi finanziaria internazionale. Ora inizia una nuova era. Se l’Europa non reagisce, sarà destinata a sparire. Dobbiamo dare all’Europa una nuova vita. Si tratta di una responsabilità storica collettiva. Speriamo la classe politica e dirigente italiana ne sia consapevole.

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