L'Europa a due velocità

Dopo la dichiarazione del 25 marzo sottoscritta dai capi di stato e di governo, l'Unione Europea, al di là delle mediazioni sui singoli termini, sarà a due (o più) velocità. Sembra un percorso del tutto nuovo, in realtà è un ritorno agli anni Novanta. Ma non per questo si tratta di un passo indietro. Dal Trattato di Maastricht e dall’introduzione dell’Euro, l’Europa ha commesso numerosi passi falsi. La Brexit più che aprire una nuova fase ha chiuso una stagione che era stata aperta dal fallimento del Trattato costituzionale che venne bocciato dai referendum in Francia e Olanda nel 2005, con i quali si impedì qualunque prospettiva di un’unità politica.

L’Europa a più velocità non è un invenzione dei leader di oggi ma di Jacques Delors (Presidente della Commissione Europea dal 1985 al 1995) e, in qualche modo, si ricollega all’idea dell’Europa del nucleo che venne teorizzata in Germania alla metà degli anni Novanta. 
Nel 1994 Wolfgang Schäuble e Karl Lamers, entrambi esponenti di primo piano dei democristiani tedeschi, erano convinti che non tutti i Paesi fossero in grado di poter aderire alla moneta unica sin dall’inizio e che era indispensabile procedere ad un’integrazione differenziata. Il progetto fu fortemente criticato e ostacolato, in Germania come in Italia, con l’argomentazione che i Paesi del centro-Europa volevano escludere dal progetto europeo i Paesi del Sud. La discussione pubblica, al tempo, si condì di elementi e affermazioni che, come sempre, attribuivano alla Germania una sorta di nuova volontà di potenza. Tuttavia, la storia della crisi dell’Euro, purtroppo, ha dato ragione ai tedeschi Schäuble e Lamers. La convinzione che fosse sufficiente il tasso di cambio per attenuare le divergenze strutturali è stata un’illusione ed è stato ancor più grave sottovalutare il problema di modellare le strutture sociali nazionali su una semplice variabile economica, come dimostra, del resto, il continuo surplus commerciale della Germania. L’euro, in questo senso, è stato un fallimento. Questo non vuol dire, naturalmente, abbandonare la moneta unica dalla quale è irresponsabile, sconveniente e illusorio volerne uscire, ma appunto, significa pensare ad un’Europa a più velocità che proceda attraverso un’integrazione che si deve adattare alle possibilità ed esigenze di ogni singolo stato. Il drammatico caso della Grecia ne è l’esempio migliore. 
L’Europa a più velocità non è una questione di carri che vanno più veloci e più lenti né di escludere alcuni paesi dal processo di integrazione europea. L’Europa a più velocità significa, fondamentalmente, tre cose. Prima di tutto la conferma dell’assetto istituzionale intergovernativo dell’Unione Europea. I governi nazionali resteranno i detentori del potere politico. L’Europa esiste solo nella misura in cui i governi decidono cosa, come e quando intraprendere determinate iniziative politiche. In secondo luogo, in virtù di questa supremazia della dimensione nazionale, verranno avviate cooperazioni specifiche su determinate materie (per esempio difesa militare, politica sociale, ambiente ecc.) tra gli Stati che intendono cedere piccole quote di sovranità in specifici ambiti. Infine, l’Europa a più velocità è anche un monito a quegli stati che troppo spesso e troppo superficialmente scaricano le proprie responsabilità sull’Unione Europea. È un avviso a quegli stati che vogliono e pretendono i vantaggi dell’essere uno stato membro ma non vogliono assumersi gli oneri di tale partecipazione: chi non rispetta il patto politico (in altre parole i trattati e gli accordi) che è alla base dell’Unione Europea, rimarrà indietro. Troppo a lungo si è pensato che ci fossero degli Stati che per peso politico e tradizione fossero indispensabili. Quella stagione si avvia a concludersi. Non esisteranno stati membri senza i quali non sarà possibile procedere a ulteriori forme di integrazione. Insomma, l’Europa a più velocità non concederà più alibi ai governi nazionali e all’opinione pubblica di ogni singolo stato. Dare la colpa alle istituzioni europee non avrà più alcun senso e alcuna ragione.
(Pubblicato su Il Quotidiano di Puglia il 28 marzo 2017)

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