La scelta di Merkel, un anno dopo

Esattamente un anno fa Angela Merkel apriva le porte della Germania ai profughi. Durante la solita conferenza estiva davanti alla stampa tedesca al completo, la Cancelliera affermò che la Germania era un paese forte e che ce la poteva fare a gestire l’enorme flusso migratorio. "La scrupolosità tedesca è fantastica ma ora c’è bisogno della flessibilità tedesca." Wir schaffen das (Ce la facciamo) è diventato così il motto di Merkel.
Nell’estate dello scorso anno era saldamente al comando del proprio partito e del proprio Paese, tanto che i sondaggi nell’agosto del 2015 davano l’Unione ancora al 42 per cento dei voti e l’AfD appena al 4 (e fuori dal Bundestag). Un anno dopo il consenso di Merkel vacilla: l’Unione è data al 33.
Inoltre, i cugini cristiano-sociali bavaresi mettono costantemente in discussione la politica sui rifugiati della loro stessa leader. L’estrema destra della AfD continua a crescere nei sondaggi e domenica prossima, 4 settembre, potrebbe addirittura arrivare a giocarsi il secondo posto con la CDU nel Mecklenburg Vorpommern, una regione dove tradizionalmente la destra è molto forte. Questa volta nel Parlamento regionale nella splendida Schwerin potrebbero essere rappresentati sia la AfD sia la NPD. A un anno dalle elezioni politiche (settembre 2017) Merkel sembra essersi messa nei guai da sola resuscitando un partito che era letteralmente morto.
Tuttavia, se si guarda al fenomeno a livello globale, la crescita della destra non è un’esclusiva tedesca ed, anzi, in Germania resta ben al di sotto di quello che accade in Francia, Olanda, Stati Uniti, Italia o Austria. 
Ma qual è, allora, il bilancio della controversa scelta merkeliana di un anno fa? È stato un errore?
Non bisogna dimenticare il momento storico in cui venne presa quella decisione. Dopo sette mesi di braccio di ferro con Alexis Tsipras l’immagine della Germania in Europa era a dir poco rovinata. Inoltre, il flusso migratorio era  in aumento a causa dell’aggravarsi della guerra in Siria. La morte di quasi 3000 profughi nel Mare Mediterraneo e il ritrovamento di 71 cadaveri (tutti profughi) in un camion in Austria avevano sconvolto l'opinione pubblica internazionale Era una fase in cui  non erano in agenda vie di mezzo e scelte di comodo, come ad esempio dimostrare solidarietà ma lasciare la questione dei rifugiati ai paesi di confine (in particolare Italia e Grecia), come del resto prevedeva Dublino II.
Eppure Merkel avrebbe potuto sostenere le tesi di molti governi dell’est Europa (con i quali la Germania ha un forte intesa) e chiudere i confini, ma avrebbe creato più caos e indignazione di quanto non sia stato optando per la via della solidarietà. Per non parlare di un possibile isolamento internazionale di Berlino, oltre, ovviamente, a veder danneggiata la propria immagine, già compromessa dalla crisi greca, buttando così all’aria settant’anni di storia tedesca.
Oggi invece la Germania nello scenario internazionale sembra ancora più forte di un anno fa. I rapporti con gli USA sono stati del tutto recuperati dopo lo scandalo PRISM, Merkel resta il leader che più si impegna in Europa, come dimostra il recente tour europeo in tutti i paesi dell’Unione in vista del vertice di Bratislava del prossimo 16 settembre ed in cui sono in agenda nuove misure per la creazione di un sistema di sicurezza europeo (ETIAS) a cui la cancelliera sta lavorando trovando un consenso quasi unanime.
Non è poi certamente un caso che dopo il voto sul Brexit, la prima visita di stato del nuovo premier inglese Theresa May sia sta a Berlino. Insomma, la scelta di Merkel, letta un anno dopo, ha molto rafforzato la Germania sullo scacchiere internazionale.
Naturalmente non tutto è andato come sarebbe dovuto andare. Dalle prime scene di accoglienza alle stazioni di Monaco e di Francoforte, una parte della società tedesca è scivolata lentamente verso una certa insofferenza facendosi sopraffare dalla paura a cui hanno contribuito gli attacchi terroristici degli ultimi mesi – pur non essendoci, evidentemente, alcun legame diretto con il fenomeno dei rifugiati. Però è certamente vero che la piccola emedia borghesia tedesca vede fortemente minacciato il proprio benessere.
Eppure i dati relativi alla crescita economica sono positivi, tanto che il flusso di rifugiati ha contributo alla crescita dello 0,2 del PIL. Relativamente all’occupazione dei rifugiati, i dati, pur se non del tutto positivi, lasciano ben sperare. Secondo la Welt (27.08.16) il numero degli occupati tra coloro che hanno ottenuto l’asilo, dal 2014, è in costante aumento e lo sarà fino a tutto il 2017. Secondo le proiezioni dalla fine del 2017 il dato dovrebbe iniziare a scendere. Il governo tedesco è comunque consapevole che alla lunga sarà molto difficile riuscire a inserire nel mercato del lavoro il milione di persone che sono arrivate negli ultimi mesi e per questo la Cancelliera ha previsto di concordare con le grandi imprese tedesche un programma a lungo periodo per l’inserimento dei rifugiati nel mercato del lavoro.
Anche i dati relativi alla popolazione sono positivi. La Germania trae vantaggio dalle forte presenza di immigrati. Secondo l’Ufficio Federale di statistica la popolazione tedesca (82,2 milioni), nel 2015, è aumentata dell’1,2 per cento (978 000 persone) rispetto all'anno precedente. Si tratta della crescita maggiore dal 1992 e gli stranieri sono diventati 8,7 milioni (il 14,7 per cento). Una tendenza che verrà rafforzata nei prossimi anni.
Alla fine come ha ricordato Bern Ulrich sulla Zeit (25.08.16), pur con tutte le difficoltà e contraddizioni del caso, la Germania ha dato la possibilità a un milione di persone (o comunque una buona parte di esse) di vivere meglio di prima. Un contributo umanitario che resterà nei libri di storia nei quali, purtroppo, le pagine sulla Germania non sono sempre positive.


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