Fuga dalla DDR


Venticinque anni fa il ministro degli esteri della Germania Occidentale Hans Dietrich Genscher annunciava, dal balcone dell'ambasciata tedesca a Praga, l'espatrio per i cittadini della Germania comunista verso la Repubblica Federale. Si trattò di un annuncio storico perché fu il primo significativo gesto che mise in crisi la Germania comunista ed è considerato oggi dagli storici il primo passo verso la riunificazione tedescca. Migliaia di cittadini infatti affollavano da settimane le ambasciate di Praga e Budapest in attesa di arrivare in Occidente. In quest'occasione vi racconto la storia di una famosa fuga dalla DDR nell'estate del 1989.

Barbara aveva programmato la sua fuga da tempo. Dopo aver fatto richiesta di lasciare la DDR era stata arrestata e poi mandata dall’ospedale Charitè di Berlino Est in un piccolo ospedale della lontana provincia sulle coste del Mar Baltico. Da lì Barbara aveva programmato la sua fuga per raggiungere il suo ragazzo che si trovava a Ovest e con il quale si vedeva clandestinamente. Avrebbe dovuto raggiungere la Germania Ovest tramite la Danimarca su un minuscolo gommone di fortuna portato da un aquascooter. Nel momento della partenza Barbara lascerà il suo posto ad una sua paziente che era stata violentata e maltrattata dalla Stasi, la feroce polizia della Germania comunista. Fin qui la storia raccontata da Christian Petzold in La scelta di Barbara.

A fuggire dalla DDR sono stati in molti. Anche personaggi che hanno fatto la storia della Germania occidentale, tra cui l’ex Presidente della Repubblica Federale Tedesca Horst Köhler, la cui famiglia fuggi dalla DDR nel 1953, o l’artista Georg Baselitz  fuggito nel 1957 da Berlino Est. Ci furono anche fughe spettacolari come quella di Jörg Berger, l’allenatore delle nazionale giovanile di calcio della DDR che nel 1979 sfruttò un’amichevole in Jugoslavia per poter fuggire a Ovest, o come quella del calciatore Lutz Eigendorf, centrocampista della BFC Dinamo, che il 21 marzo del 1979 in occasione di un’amichevole con il Kaiserslautern sfruttò la possibilità di poter andare a fare compere a Gießen per fuggire. Nel 1983 Lutz Eigendorf morirà in un misterioso incidente stradale che secondo numerosi indizi fu causato dalla Stasi.
Alcuni riuscirono a fuggire, altri, purtroppo, no. Non era facile, ma i tedeschi si ingegnarono i sistemi più complessi e originali: dalla mongolfiera ai tunnel, dal nascondersi nei motori delle macchine o nelle valigie fino a nuotare lungo la Spree che attraversa Berlino. 
Recentemente il settimanale della Süddeutsche Zeitung ha ricordato una fuga diversa dalle altre. Il 16 agosto del 1989 quattro cittadini della DDR tentarono la fuga nella Germania Ovest attraverso il confine ungherese. Fin qui nulla di rilevante. Non erano i primi e non saranno gli ultimi. Quella fuga ebbe però qualcosa di originale perché fu ripresa dalla televisione e qualche giorno dopo, il 22 agosto, il servizio venne trasmesso al telegiornale. La fuga dimostra anche che la caduta del Muro non sembrava imminente tanto che ancora a metà agosto del 1989 numerosi cittadini cercavano di fuggire. La caduta del Muro fu totalmente  inatteso e imprevedibile. 

La fuga di Jeanette
La storia della fuga di Jeanette Kretzschmann-Meier, oggi quarantottenne, inizia con la fine degli studi. Da sempre avrebbe voluto fuggire dalla Germania comunista ma solo dopo la laurea sarebbe stato il momento giusto. Viveva nell’odierna Chemnitz, allora Karl-Marx-Stadt (Città Carlo Marx). Racconta Jeanette: «A mia madre l’avevo detto a casa, prima di andare in vacanza in Ungheria. Lei mi capì. Avevamo parenti ad Ansbach. Mi disse soltanto: A tuo padre non dire nulla. Anche mia sorella voleva venire, ma non aveva ancora alcun diploma. I miei genitori non glielo avrebbero mai permesso. Feci delle procure a mia madre, raccolsi i miei documenti e via. A mio padre lo avvertii una volta arrivata in Ungheria. Non disse nulla».
Il distacco dai genitori fu terribile, racconta Jeanette: «Non sapevo se gli avrei più rivisti». Jeannette essere arrestata o uccisa, come accadde a tanti fuggitivi. Jeanette non aveva in realtà un piano molto dettagliato. Sapeva di alcuni casi di persone che erano andate nelle ambasciate ceche o ungheresi e che da lì, in qualche modo, arrivarono nella Germania Ovest. Una volta arrivata nella Repubblica Federale Tedesca sarebbe andata dai suoi parenti ad Ansbach. 
Arrivata Ungheria Jeannette si recò più volte all’ambasciata ma era sempre chiusa per sovraffollamento e doveva così ritirarsi nello spiazzo antistante. Fu l’occasione per conoscere altri tre connazionali di Lipsia che, come Jeanette, volevano fuggire verso la Germania occidentale.

L'incontro con due giornalisti
Il reporter ungherese Jànos Zolcer e il collega tedesco Fritz Kurz incontrarono casualmente quattro giovani persone fuori all’ambasciata di Budapest. Racconta Fritz Kurz: «Sembravano sportivi, in salute, attivi e vogliosi di intraprendere qualcosa. Segretamente decisi a recidere il legame con la DDR. Non c’erano bambini. Jeanette era un po’ in disparte. Le chiesi perché volesse fuggire. La sua risposta fu sorprendente: Perché vorrei sciare almeno una volta sulle Alpi». «Ma non è un motivo valido per abbandonare la tua famiglia», rispose Fritz Kurz. «Non capisci», disse Jeanette. Kurz e Zolcer non potevano sapere che stavano parlando con una campionessa di Slalom della DDR nel 1985. Ma nonostante il suo ruolo nel campo dello sport, Jeanette non aveva privilegi. Lo sci non era veramente sostenuto dal regime e doveva finanziarsi e organizzarsi in autonomia. E non poteva partecipare alle competizioni internazionali. Ma non era per tutti così. Ad esempio la pattinatrice sul ghiaccio Katharina Witt, due medaglie d’oro alle Olimpiadi, quattro campionati del mondo e sei campionati europei, era ovviamente molto privilegiata. I due reporter non sapevano tutto questo, eppure il tedesco Firtz Kurz le disse: «Vogliamo riprendere la vostra fuga. Se ce la farete, andiamo poi a sciare insieme». 
Kurz era stato contattato da Jànos Zolcer, un filmmaker ungherese, per girare la fuga di alcuni cittadini dalla Bulgaria. Ma Kurz era interessato all’Ungheria. Zolcer si accertò che a Bupadest c’erano molte persone che volevano fuggire. Da lì l’idea di andare a fare un reportage. Kurz portò con se 5000 marchi tedeschi e si misero in macchina. I due giornalisti si conobbero veramente solo in auto. Durante il tragitto si fermarono ad una cabina telefonica per organizzare tutto ciò di cui avevano bisogno per riprendere la fuga. 
Una volta arrivati a Budapest, c’erano migliaia di persone che volevano fuggire. In quel momento Kurz e Zolcer conobbero i quattro tedeschi tra cui Jeanette. Li ospitarono nel loro hotel e il giorno seguente andarono in auto al confine. 
L’idea di filmarli e poi di accompagnarli era improbabile. Si trattava di un confine recintato di oltre cinque chilometri. E nessuno si permetteva di oltrepassarlo. Era troppo pericoloso. Tuttavia, una volta arrivati al confine, i due reporter pensarono che non potevamo abbandonarli e così decisero di proseguire con i quattro cittadini della Germania comunista. In fondo, pensavano, una videocamera può anche essere una forma di protezione. 
I quattro profughi erano riusciti a ottenere dall’ambasciata ungherese un passaporto ma non avevano il timbro d’entrata per poter accedere nella Repubblica Federale Tedesca, come dire che la Germania voleva quei fuggitivi ma non avevano dei passaporti validi. Un vero cittadino tedesco avrebbe avuto il timbro di entrata. Ma Fritz Kurz sapeva come si poteva arrivare al confine e ad oltrepassarlo. 
Arrivati al confine di Fertörákos i quattro profughi avevano una gran paura. Dopo circa mezz’ora arrivarono i primi spari dei militari. Erano stati scoperto dalle guardie. Fu in quel momento che i due reporter si ricordarono dell’importanza della videocamera «Giriamo solo un film - disse János Zolcer - potere mostrarci come inseguite i fuggitivi?» E così, prima ci hanno guardato da dietro i cespugli e poi ci hanno lasciati andare. 
Major Ovari
Ma la via per la libertà ancora molto lunga. Proseguendo il cammino, ad un certo punto si trovarono ad un posto di blocco dove i quattro vennero arrestati. Racconta Kurz, al magazine della Süddeutsche Zeitung, di aver pregato i soldati di non rispedire i quattro cittadini nella DDR ma di riportarli a Budapest. È in quel momento che comparve Major Óvári. Tenne i prigionieri per cinque ora in prigione. Racconta Jeanette che in quel momento pensò per la prima volta ai suoi genitori. «Se vengo rispedita nella DDR cosa mi succederà?». 
I quattro cittadini della Germania comunista non potevano certamente andare nella Germania Federale, ma potevano però fermarsi in Ungheria. I due reporter nel frattempo erano spariti. Racconta Jeanette «Fritz e Janos avevano la loro storia, ora erano via e non erano più interessati al nostro destino. Ci avevano abbandonati». Fritz Kurz, in realtà, chiese di andare in bagno, uscì fuori e filmò la caserma dall’esterno, la luna piena. Nel frattempo Zolcer trattava con il comandante Major Óvári. Zolcer parlava ungherese e questo era un evidente vantaggio. Dopo due ore di trattative, quando i soldati erano andati via, improvvisamente prese una cartina e indicò al reporter ungherese la strada dove non c’erano soldati. Bisognava farlo di notte, restando abbassati. «Ci sono dei buchi nel filo spianto, ma non correte negli spazi aperti», disse Major Ovari.
Venticinque anni dopo, nel servizio del Magazine della Süddeutsche Zeitung viene intervistato anche il maggiore Major Óvári, a cui viene chiesto perché avesse aiutato quei cittadini: «Semplicemente volevo aiutarli». «Ma perché?». «Avevamo catturato già numerosi fuggitivi dalla DDR a cui avevo chiesto perché volevano andare via. Le risposte erano: Ho famiglia dall’altra parte, voglio tornare dalla mia famiglia. Mi sono sempre chiesto: ma perché queste persone non dovevano tornare dalla loro famiglia?». 

Il confine tra l’Ungheria e l’Austria era lungo circa 360 km. Prima del maggio 1989 era molto controllato con torri di controllo, filo spianato e allarmi. Era impossibile attraversarlo. Ma dal maggio del 1989 il confine non era più minato e addirittura a qualche contadino era permesso di utilizzare la terra nella terra di nessuno. L’ordine di sparare era stato tolto già nel 1985. I soldati avevano l’ordine di difendere il confine, di catturare i fuggitivi e di rispedirli indietro. Ma non di sparargli.  
Scrive il giornalista e storico tedesco Michael Stürmer: “… proprio sull’Ungheria, sulla parte più piccola dell’enorme impero sovietico, sarebbe crollato il blocco orientale. Nessuno lo aveva effettivamente colto, qualindo nell'autunno del 1988 il ministro Poszgay aveva dichiarato a Budapest che il filo spinato tra l’Ungheria e l’Austria era una vergogna. Nell’aprile del 1989 l’Ungheria, in cammino verso ovest, firmò la carta sui diritti umani del Consiglio europeo di Strasburgo. Il 2 maggio, davanti alle telecamere di tutto il mondo fu abbattuto un pezzo di filo spianto. Dapprima, tuttavia, il confine fu ancora ben sorvegliato – e si osservarono attentamente le reazioni di Mosca… Ma se cadeva il filo spinato e nessuno lo rimetteva al suo posto, doveva seguirlo anche il muro.” 
Dal maggio 1989 la cortina di ferro venne gradualmente abbattuta. Il governo ungherese prese la controversa decisione di aprire i confini. In realtà, già i cittadini ungheresi avevano la libertà di viaggio. A giugno del 1989 ci fu un incontro in cui i ministri degli esteri ungherese, Gyula Horne, e austriaco, Alois Mock, tagliarono simbolicamente la recinzione. 
Prima del 1985 c’era un accordo tra DDR e Ungheria. Se un cittadino ungherese veniva preso nella DDR veniva rimandato in Ungheria e viceversa. Si trattava di un accordo con tutti i paesi socialisti. Ma dopo aver firmato la convenzione di Ginevra si poteva richiamare ad essa e non rispedire persone nella DDR in quanto sarebbero andate in prigione. Eppure, nonostante tutto, proprio qualche giorno dopo la fuga di Jeanette un cittadino della DDR morì sparato dai soldati ungheresi al confine. Il maggiore Major Óvári racconta che a partire da luglio per i successivi quattro mesi catturarono circa 800 fuggitivi. E almeno il doppio sono riusciti a scappare. Dall’11 settembre l’Ungheria permise il passaggio in Austria. In tre giorni attraversarono il confine almeno 15 000 cittadini della DDR. 
Dall’11 settembre del 1989 il governo ungherese aprì definitivamente i confini con l’Austria anche per cittadini della DDR senza il consenso del governo di Berlino Est. Migliaia di cittadini della DDR assediarono l’ambasciata della Germania Occidentale a Praga in Cecoslovacchia. Tra il settembre e l’ottobre lasciarono la DDR circa 50 000 mila cittadini tramite la Cecoslovacchia e l’Ungheria. Il 30 settembre il ministro degli esteri della Germania Occidentale Genscher annuncia dal balcone dell’ambasciata tedesca a Praga che i cittadini della DDR possono espatriare. 
Per non rovinare il quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) che cadeva il 7 ottobre, la SED concesse l’espatrio ai profughi delle ambasciate di Praga e Varsavia. Per dimostrare, inoltre, la propria sovranità e indipendenza la SED decise di portare i cittadini che volevano espatriare in treni speciali sulle linea della DDR che portavano direttamente nella Repubblica Federale Tedesca. Si trattò di un errore fatale, perché di fatto indicò a tutti i cittadini che volevano espatriare la via per abbandonare la DDR.  

Una volta liberati i quattro cittadini decisero subito di procedere per il bosco seguendo la strada indicata da Major Óvári. Era buio, la luna era l’unico punto di riferimento. Pensavano di essere seguiti dai soldati. I cani abbaiavano. Era orrendo, racconta Fritz Kurz. A un certo punto improvvisamente si trovarono il grosso filo spinato che segnava il confine. La prima linea di filo spinato era stata eliminata ma erano cresciuti folti cespugli. Dopo diversi tentativi riuscirono a oltrepassarlo. La luna, nel frattempo, era andata via. Racconta Kurz che solo dopo gli venne detto che in quel giorno c’era l’eclissi
Arrivati ad una strada, videro una cartello giallo. Era da cinquanta ore che non dormivano, soltanto la fuga per il bosco era durata cinque ore. Erano impauriti, stanchi e sudati. Ma erano riusciti ad arrivare in Austria. Erano le sei, il sole iniziò a sorgere. Era il 17 agosto 1989. Improvvisamente si trovarono davanti turisti tedeschi con dei viveri: «Veniamo ogni mattina qui per portare qualcosa da mangiare ai fuggitivi! Lì in fondo c’è la stazione di polizia per poter dichiarare il proprio arrivo». La stazione era aperta ma senza poliziotti. Solo qualche altro fuggitivo che piangeva. C’erano più di trecento nomi nella lista di quella stazione di polizia. Poco dopo arrivò il reporter ungherese Jànos Zolcer con l’auto. Aveva viaggiato legalmente oltre il confine. Filmò come i quattro fuggitivi si abbracciavano. Jeanette non poteva credere di essere riuscita a scappare. Era sfinita ma felice. 

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