Dalla parte della Germania ... e dell'Europa
La storia inizia il 9 novembre 1989: il giorno della caduta del Muro di Berlino. Per la Germania è una nuova fase, che nessuno, allora, era in grado di prevedere. La sopravvivenza della DDR (Deutsche Demokratische Republik) era un’incognita. Nei mesi successivi a quell’autunno di fine anni ottanta, in Germania si risveglia uno spirito unitario fino ad allora tenuto quasi nascosto. Willy Brandt afferma: “Jetzt wächst zusammen, was zusammen gehört”, ora cresce assieme ciò che appartiene assieme. Helmut Kohl, l’allora Cancelliere tedesco, capisce che è la svolta della sua storia politica. Può essere l’uomo della riunificazione tedesca.
Da quel momento la partita di Kohl è di convincere l’Europa che la Germania unita è un vantaggio per tutti. È nota la contrarietà dei principali leader politici europei: Mitterrand, Andreotti, Thatcher. Tutti sembrano aver paura di una Germania unita. Andreotti arriverà a dire, ironicamente: "Amo così tanto la Germania che preferisco ne esistano due". Alla fine Helmut Kohl ottiene l’appoggio europeo, in cambio di un impegno della stessa Germania per la costituzione dell’Unione Europea e, soprattutto, dell’Euro.
Lucio Caracciolo ha descritto molto bene quella fase politica: “Senza la paura della Germania, non avremmo oggi l’Unione Europea. Ma senza davvero superare la paura della Germania, non potremmo mai spingere l’Europa oltre le secche nelle quali si è arenata dopo Maastricht. L’Europa dell’euro è infatti frutto estremo e limite invalicabile di un’idea di integrazione basata sul contenimento della Germania.” [1]
È da qui che bisogna partire per qualunque analisi sull’Europa e la Germania di oggi. Per citare ancora Caracciolo, “l’euro è il pegno che la Germania paga alla Francia in cambio dell’avallo di Parigi e del resto d’Europa alla sua riunificazione.” Lo stesso concetto è stato ripetuto, recentemente, dall’ex Cancelliere socialdemocratico Gerhardt Schröder in un’intervista alla Welt am Sonntag, il domenicale del giornale Die Welt, il mondo del 4 dicembre. Oggi, dunque, a distanza di oltre vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, la Germania sembra mostrare il conto al resto d’Europa. L’obiettivo della Repubblica Federale è di fare un’Europa più tedesca. Ma cosa vuol dire esattamente?
Numerosi commentatori hanno fatto paragoni forti ed impegnativi. C’è chi, come Marcello Pera, evocando la Germania di Hitler, ha parlato, esplicitamente, di “operazione Anschluss” (Libero, 23 novembre 2011). Sergio Romano ha descritto un’Europa prigioniera del dogma economico tedesco (Corriere della Sera, 27 novembre 2011). Guido Rossi ha ammonito Angela Merkel invitandola a non rovinare l’Europa di Kohl (Il Sole 24 ore, 27 novembre 2011).
In tutti questi (e se ne potrebbero citare tanti altri) c’è l’accusa (esplicita o implicita che sia) alla Repubblica Federale Tedesca di voler stabilire una sorta di egemonia politico-economica in Europa. Alla trasmissione televisiva “L’Infedele” di Gad Lerner (28 novembre 2011) si è sottolineato come per la terza volta nell’ultimo secolo la Germania tenti una scalata per il dominio europeo: che si arrivi addirittura ad una terza guerra mondiale?
Insomma: alla Germania e ai tedeschi vengono rimproverati scarsa solidarietà, voglia di germanizzare ed egemonizzare l’Europa ed, infine, scarsa incisività politica nella gestione della crisi. Ma qual è, veramente, la posizione tedesca? Come si spiega il ritardo e la rigidità con cui la Germania ha affrontato la crisi dell’euro? La Germania, che è il paese più forte dal punto di vista economico e politico in Europa, non avrebbe dovuto dimostrare maggiore solidarietà nei confronti degli altri paesi più deboli?
Prima di tutto è bene sfatare un mito. In Germania le posizioni sull’attuale crisi economica sono molto più sfaccettate di quanto gran parte della stampa spesso descriva. Se la linea politica, a livello internazionale, è, naturalmente, data dalla Cancelliera Angela Merkel, quest’ultima deve fare spesso i conti con posizioni diverse non solo nella sua maggioranza ma anche nell’opposizione dove i socialdemocratici hanno posizioni più morbide ed europeiste.
D’altronde anche in un commento sulla Süddeutsche Zeitung (03 dicembre 2011), dal titolo eloquente “Königin ohne Land", Regina senza terra, l’autore Nico Fried ha evidenziato come la Cancelliera, nella sua strategia politica per il salvataggio dell’euro, sia isolata: il problema non sono gli sforzi della Merkel a dominare l’Europa. Il problema dell’Europa con Angela Merkel è la sua rinuncia ad una “dominanza” in Germania. La sua stessa coalizione vede con molto scetticismo le azioni di salvataggio intraprese dalla Cancelliera.
Per quanto riguarda il ritardo con cui la Germania ha affrontato la crisi greca, è sicuramente vero che in un prima fase della crisi c’è stata miopia politica e scarso senso di responsabilità da parte della Cancelliera che temeva le elezioni regionali nel Nordreno Westfalia. Ma per capire la posizione dei tedeschi nella crisi del debito sovrano bisognerebbe indagare anche le loro caratteristiche antropologiche. I tedeschi non capiscono proprio perché dovrebbero pagare i debiti di altri. Nel loro DNA c’è il rigoroso rispetto delle regole e degli accordi.
In quest’atteggiamento c’è, in una prima fase, molta ingenuità e fiducia assoluta dei propri compagni di strada - nel caso specifico i partners europei - ma allo stesso tempo assoluta condanna per chi non rispetta le regole. Aver fatto l’Unione monetaria ed aver scoperto con il tempo che alcuni stati hanno truccato i conti, per i tedeschi è insopportabile ed inammissibile... e per questo va condannato. E’ una mancanza di rispetto che non viene accettata. Ricordate la copertina di Focus in cui era rappresentata la Venere di Milo con il dito medio rialzato rivolto verso l’Europa? Il titolo era "Betrüger in der Euro-Familie, l'imbroglione nella famiglia dell’euro.
Per i tedeschi i greci li stavano prendendo in giro, truffando. Il motivo per cui Angela Merkel e gran parte dei tedeschi erano contrari al salvataggio della Grecia era proprio questo. La logica dei tedeschi è semplice e non fa una piega: chi sbaglia paga. Chiunque abbia vissuto, lavorato o fatto esperienza in ambienti tedeschi, lo sa benissimo. Se sbagli paghi per l’errore commesso. Il primo approccio tedesco alla crisi greca è stato esattamente questo. Con l’aggravarsi della crisi ha, poi, prevalso, con colpevoli tentennamenti e ritardi, la linea europeista inizialmente rappresentata solo dal ministro Schäuble.
Inoltre: l’introduzione degli eurobods, al netto delle pur fondamentali riflessioni economiche e finanziarie, è, per i tedeschi, incomprensibile. Angela Merkel continua ad essere contraria, in quanto la gran parte dei tedeschi non riesce proprio a capire perché debbano essere loro a pagare debiti di altri. Nelle categorie mentali di un tedesco non esiste una casella del tipo: pagare debiti altrui. Se non hai saputo gestire i conti di casa tua, è un tuo problema. La crisi del debito sovrano ha raggiunto, però, un livello di gravità superiore tanto da aver colpito, oltre alla Grecia, anche Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. A rischio c’è anche la Francia ed ora è in discussione la tenuta della moneta unica europea. La stessa Germania rischia di perdere la tripla A e di essere così declassata.
Alla luce della profondità ed estensione dell’attuale crisi la Germania cerca, in un certo senso, di esportare al resto d’Europa il proprio modello sociale ed economico, ma non c’è mai stata alcuna intenzione egemonica o desiderio di dominio. C’è solo la consapevolezza di essere il migliore modello economico in Europa, forse non perfetto (anche loro hanno molti debiti tanto che Standard & Poor’s ha annunciato un declassamento della Repubblica Federale Tedesca) ma sicuramente il più stabile, solido e rappresenta l’unica alternativa al modello di crescita cinese o americano, come ha giustamente notato Barbara Spinelli (Repubblica 01 dicembre 2011).
In questo la Germania pretende dai PIIGS riforme radicali e profonde. Questo non significa perdita della sovranità nazionale o rischio di “Anschluss”, significa solo che se siamo in Europa, se usufruiamo dei vantaggi dell’euro (e sia ben chiaro che non si può tornare indietro perché sarebbe un catastrofe sociale, finanziaria ed economica) dobbiamo tutti quanti fare uno sforzo per europeizzarci. Dobbiamo imparare a far prevalere l’interesse comune ed europeo su quello nazionale.
I primi a non voler abbandonare l’euro sono i tedeschi stessi, in quanto sono consapevoli che sarebbe una pazzia ritornare alle monete nazionali. La Germania vuole, semplicemente, accordi e patti chiari tra gli stati membri. Vuole rispetto rigoroso degli accordi presi ed una riforma dei trattati. Come ricordato in un lungo articolo sulla Zeit (49/2011), l’obiettivo della Germania è chiaro: disciplina di bilancio degli stati europei, regole e controlli più rigorosi.
Berlino vuole, inoltre, la possibilità di sanzioni in caso di infrazioni al patto di stabilità e di crescita ed ancora un accesso diretto ai bilanci dei singoli stati al fine di evitare un altro caso-Grecia. È qui, poi, che si inserisce anche l’unione fiscale appena annunciata da Angela Merkel al Bundestag venerdì scorso. Anche al vertice con Sarkozy a Parigi, la Merkel non ha fatto altro affermare la necessità di questi obiettivi.
La Germania pretende maggiore senso di responsabilità e rispetto da parte di tutti i partners europei, in quanto se l’Europa e la moneta unica sono a rischio è principalmente perché gli stati più deboli dell’Unione Europea non hanno mai realizzato le riforme che da quasi due decenni dovevano essere fatte e che la Germania ha realizzato, con enormi sacrifici nei primi anni duemila con la riforma Hartz IV.
Ora, che esista una moneta unica ma non una politica finanziaria ed economica comune tra i diciassette paesi europei è considerato dalla Germania (e dalla Francia) la principale causa della crisi attuale, come sottolineato sabato scorso anche dalla Süddeutsche Zeitung (03 dicembre 2011). La crisi che stiamo vivendo è la prima vera prova di credibilità per l’Europa di Kohl e Mitterrand. Un’Europa con una moneta unica, ma senza un profilo politico e sociale unitario. E’ proprio qui che Angela Merkel e la Repubblica Federale Tedesca giocano la loro partita più importante dopo la riunificazione.
La Germania è consapevole di non essere amata, ma sente la responsabilità di dover guidare l’Europa oltre l’ostacolo rappresentato dalla crisi. L’hanno ricordato Alexander Hagelücken sulla Süddeutsche Zeitung (5 dicembre) - la Germania deve esercitare, che lo voglia o meno, un ruolo di guida - e Florian Eder sulla Welt am Sonntag (4 dicembre) - la Germania rappresenta un modello economico di successo ed è meglio essere malvisti che essere sfruttati ed, economicamente, dissanguati.
Accusare i tedeschi di scarso senso europeista, attaccarli evocando i fantasmi del passato non solo è storicamente sbagliato, ma è anche inopportuno perché non aiuta la comunità europea a superare questa crisi e non aiuta nemmeno noi italiani (e tutti gli altri anelli deboli dell’Europa) a uscire bene e più forti di prima da una crisi di cui siamo anche responsabili.
[1]. "Gli usi geopolitici della germanofobia: fra Europa ed euro, in: Italia e Germania 1945-2000. La costruzione dell’Europa, 2001
di Ubaldo Villani-Lubelli
(Pubblicato su L'Occidentale, 8.12.2011)
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