L'Italia a rischio Weimar

Uno spettro si aggira per l'Italia: Weimar. In un famoso quadro di George Grosz intitolato "Democrazia" e realizzato nel 1919, viene rappresentata la democrazia tedesca di Weimar come un vortice inarrestabile che travolge ogni cosa.
Nella storia della Repubblica italiana è stato spesso annunciato il rischio di una deriva weimariana, di un collasso del sistema politico-istituzionale così come avvenne in Germania con la Repubblica di Weimar (1919-1933) alla fine della quale iniziò il regime nazista. Eppure solo l'Italia del 2018 sembra molto vicina a una crisi di sistema: elezioni senza un vincitore (2013 e 2018) con lunghe e infruttuose trattative (oltre due mesi nel 2013, molto più lunghe oggi), campagna elettorale permanente e priva di contenuti, irritualità nelle procedure, contratti di governo mai visti prima con organi non previsti dalla Costituzione (Comitato di conciliazione), minacce di messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica, ingerenze internazionali, imbarbarimento del dibattito pubblico e possibile imminente ritorno al voto anticipato. Le anomalie sono troppe per essere ignorate o considerate come casuali.
È come se dopo il voto del 4 marzo si siano manifestati tutti i problemi di una seconda parte della Costituzione che non funziona più e che sin dalla fine degli anni Ottanta, quindi da tempi insospettabili, si cerca invano di modificare e che il referendum sul maggioritario del 9 giugno 1991 ha ulteriormente messo in crisi. Del resto, è dal 1994 che le elezioni politiche si sono trasformate in un'elezione diretta del Presidente del Consiglio senza che questa però sia prevista dalla Costituzione, con la conseguenza che tra gli ultimi dodici Presidenti del Consiglio solo Berlusconi e Prodi sono stati effettivamente espressione diretta delle "presunta" volontà popolare. In tutti gli altri casi (Dini, D'Alema, Amato, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) si è trattato di Presidenti del Consiglio certamente legittimi ma non percepiti dalla gran parte dei cittadini come espressione della volontà popolare espressa con il voto.
Un paradosso che ha raggiunto l'apice il 4 marzo scorso in cui, in assenza di un vincitore, i due partiti che hanno ottenuto il miglior risultato (M5s e Lega), hanno indicato ancora una volta un Presidente del Consiglio non espressione della volontà popolare, ovvero il tecnico Giuseppe Conte. È chiaro ormai che il sistema istituzionale italiano, così com'è, non reggerà a lungo alle pressioni sociali e politiche del presente.
Il rischio è appunto la deriva weimariana. Un paese in balia di agitatori politici seriali, dei mercati finanziari, di inopportune dichiarazioni di esponenti politici stranieri o dell'opinione pubblica di altri paesi. Il problema non è l'Europa, i vincoli di bilancio o l'influenza tedesca, ma la strutturale impossibilità dell'Italia di darsi un governo che possa, semplicemente, governare. Personalmente, pur se con alcune riserve, ero favorevole al referendum costituzionale del 2006 così come a quello del 4 dicembre del 2016. Ma una riforma della Costituzione, in questo clima, è assolutamente improbabile oltre che pericolosa. In realtà, anche una modifica della legge elettorale sarebbe problematica in quanto verrebbe evidentemente utilizzata dalle forze con maggiore consenso per poter ottenere quella maggioranza che oggi non hanno. È tutta qui l'enorme crisi italiana, figlia di venticinque anni di retorica sulla Seconda Repubblica e di un conservatorismo costituzionale che ha impedito al paese di modernizzarsi.
Nel 1932, in Germania, durante la Repubblica di Weimar, si votò due volte, il 31 luglio e il 6 novembre, senza raggiungere una maggioranza. Dopo diversi tentativi falliti per la formazione di un governo, nel gennaio del 1933 venne nominato Cancelliere Adolf Hitler che sfruttò perfettamente l'enorme vuoto di potere politico venutosi a creare. Lo stesso vuoto che si ha oggi in Italia.

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