La tragedia di Lampedusa e le polemiche italo-tedesche

L’impatto umanamente drammatico della tragedia di Lampedusa non ha di certo fermato il dibattito politico sull’immigrazione, sugli sbarchi clandestini, sulla gravità  sociale del fenomeno in questione. Al contrario, ha acuito dissidi già esistenti e ha favorito politicismi tattici, quasi fornendo su un piatto d’argento prese di posizione più o meno motivate, in un clima di perenne campagna pre-elettorale. E se l’Italia (o una fetta del governo italiano) ha tra le mani un motivo in parte valido per “accanirsi” sulla politica tedesca o per scaricare altrove parte dei problemi che la attanagliano, non  se lo lascia di certo scappare. 
C'è in atto uno scontro tra Italia e Germania per la distribuzione dei profughi in Europa. Inutile negare, d’altronde, che gli sbarchi a Lampedusa costituiscono essenzialmente un problema europeo di cui l’Italia non può accollarsi tutte le spese e l’abuso che si fa di queste scontate affermazioni non sottrae ad esse urgente veridicità. Potremmo infatti aggiungere che studi di geografi e sociologi dimostrano come l’Italia sia, spesso, solo una terra di passaggio per l’altrove: il basso indice di stabilità degli immigrati denota, infatti, una scarsa attrattività del territorio, scelto come meta di sbarco solo per questioni prettamente logistiche e geografiche e per l’inapplicabilità della legge sull’immigrazione, per quanto severa sulla carta.  E se questo dato potrebbe dare consolazione ai “detrattori” dell’integrazione, ad uno sguardo più attento e più consapevole, non si può non cogliere pericolosità di questa situazione: il fatto che l’Italia sia la porta d’accesso all’Europa è indicativo non solo della scarsa offerta economica del nostro Paese, ma anche del naturale disinteresse degli immigrati a rispettare il nostro territorio, che non sentono e non vogliono sentire come loro, avendo intenzione di dirigersi altrove.
Di queste pericolose dinamiche non può non interessarsi l’Europa intera. Tuttavia, nonostante le considerazioni sociologiche vogliono le città multietniche come le più competitive e dinamiche, se usciamo dalla logica un po’ troppo facilona della “diversità come ricchezza” e consideriamo i profughi come elementi di instabilità sociale (si tratta infatti di persone espulse dal territorio precedentemente occupato), capiremmo le riserve di molte nazioni nell’impelagarsi in terreni così insidiosi come la gestione di un’importante complessità etnica. Prima fra tutti, Berlino dimostra un atteggiamento non del tutto aperto alla possibilità di intervenire in soccorso dell’Italia e risponde alle accuse riguardanti i numeri lacunosi dei profughi accolti in terra tedesca, con numeri alla mano: il portavoce del governo Steffen Seibert,  parla, infatti, di un costante “aumento delle domande di asilo, oltre 65mila”.
Il problema della gestione dei profughi è stato affrontato dalla Commissione europea, il cui vicepresidente Barnier ha sottolineato la dimensione comune del fenomeno: "Dobbiamo aspettarci flussi migratori anche più massicci", "non è più questione nazionale, ma europea", “ nove Paesi sono pronti a ospitare 10 mila profughi: Germania, Finlandia, Austria, Danimarca, Svezia, Ungheria, Lussemburgo, Olanda, Irlanda”. Ma è ovvio che questo assistenzialismo a comando non risolverà in modo definitivo la questione. E se la Germania propone di prevenire gli sbarchi, migliorando le condizioni di vita dei Paesi d’origine, l’Italia pensa, invece, ad una soluzione più immediata: una distribuzione obbligatoria dei rifugiati tra i Paesi europei. Il ministro dell’Interno Friedrich ha parlato di richiesta «incomprensibile» visto che «la Germania è il Paese che ne riceve di più, più di 100mila con un rapporto di 946 per un milione di abitanti, in Italia sono 260 per milione». La Germania è stata appoggiata da Svezia e Danimarca. Tuttavia, l’Italia promette «una grande battaglia culturale per cambiare le regole».
Ad oggi, non ci resta che constatare un’evidente difficoltà europea nel gestire con omogeneità di risorse ed impegno quello che dovrebbe essere un naturale processo di coerente distribuzione della popolazione rispetto alla distribuzione delle risorse.

Paola Damiano

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